Con la nuova sala Imax inaugurata due settimane fa in provincia di Milano si torna a parlare della possibilità che il flusso cinematografico riesca realmente ad avvolgerci. Così sarebbe già nell’aria un nuovo umanesimo della Settima Arte in cui lo spettatore è al centro di un’immagine al massimo della sua pervasività.

Quello dell’immersione totale è un cruccio che, a ben vedere, faceva già sbizzarrire i partecipanti all’Esposizione universale del 1900. Dopo un solo lustro dal battesimo dell’invenzione dei Lumière – avvenuto il 28 dicembre del 1895 – in quell’occasione avremmo già potuto assistere a “tentativi di cinema sonoro, colorato, stereoscopico, su grande schermo, su pellicola di largo formato, senza dimenticare il cineorama di Grimoin-Sanson, che ricostruiva il campo orizzontale con l’aiuto di dieci proiettori da 70 mm. disposti a stella”. (Jean-Louis Leutrat, Il cinema in prospettiva: una storia, Le Mani, Genova, p. 70).

La volontà di inabissare chi guarda nello spettacolo nasce quindi insieme alle prime diavolerie del cinematografo, è tutt’uno col pubblico in fuga da una locomotiva che avrebbe davvero potuto travolgerlo tant’era la novità. L’inedita esperienza dell’Imax altro non è che un passo in avanti – o forse solo una nuova ipotesi – verso il sogno vagheggiato dagli artisti da fiera, dagli imbonitori delle grandi esposizioni, dai maghi dei primordi, dalle sperimentazioni linguistiche dei registi più evoluti. Non è più necessaria alcuna variante della sospensione dell’incredulità per “entrare nel film”: perché sei già nel suo mezzo geografico. Lo schermo ti circonda, sviluppandosi in parte sul pavimento, sul lato destro e sinistro, infine sul soffitto dove si ricurva. Anche la dimensione sonora tocca nuovi vertici.

Imax del resto sta per Image Maximum, segno che, almeno per ora, di più non ce n’è. Sono circa 500 le sale in giro per il mondo capaci di supportare tali faraoniche visioni, forse più dei lungometraggi da proiettare. Considerando i costi altissimi, infatti, anche i blockbuster pigliatutto possono permettersi solo poche scene girate con la citata tecnologia, mentre il grosso dei titoli che va sul circuito è solo frutto di conversioni a posteriori.

Tra alcuni prevedibili atteggiamenti luddisti e gli osanna di chi crede che il futuro del cinema abbia già un nome, probabilmente sarebbe meglio interrogarsi su quale tipo di immagini sarà necessario produrre. Quella forma di rappresentazione istituzionale nota come “linguaggio cinematografico”, e ormai propria del nostro sistema mentale in modo che ogni pellicola sia immediatamente decifrabile, potrà essere applicabile anche ai nuovi schermi? In quale modo cambierà l’arte che da Griffith arriva a Cameron? Se la maggioranza delle magiche proiezioni verte sul mondo del documentario, presto potrete vedere anche Kung Fu Panda 2, Transformers 3, Cars 2 e l’ultima avventura di Harry Potter.

Per ora niente Godard dunque. Ma i palati più fini non disperino, c’è una novità. Dopo aver passato metà della vita a leggere Lucrezio, pare che Terrence Malick voglia girare in formato Imax un misterioso Voyage of Time, lavoro incentrato – e questo si poteva anche immaginare – su quella “storia del mondo” che continua a raccontaci di film in film.

Articolo Precedente

Kyle Eastwood, appuntamento clou

next
Articolo Successivo

Pdl, Ferrara: “Berlusconi deve cambiare”. Poi fischi e insulti alla Terragni

next