Dal divorzio alla modifica della parte II della Costituzione.  Dal 12 maggio del 1974 al 25 giugno 2006. In mezzo, 62 referendum abrogativi sui quali gli italiani sono stati chiamati a esprimere un parere. Al centro le grandi battaglie sui diritti civili come la legalizzazione di divorzio e aborto, l’obiezione di coscienza, il voto ai diciottenni, lo stop alle centrali nucleari, la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario, la depenalizzazione dell’uso personale di droghe leggere, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la chiusura dei manicomi e l’affermazione dei diritti dei transessuali. Il quorum viene raggiunto 35 volte, il “no” vince 16 volte, il “sì” 19.

Il divorzio. Previsto dall’articolo 75 della Costituzione con soli tre casi di inammissibilità, l’istituto referendario è stato introdotto in Italia solo nel 1970 su richiesta del Vaticano che spingeva per abolire la legge sul divorzio (la Fortuna-Baslini) approvata grazie alla campagna dei radicali. Il 12 e 13 maggio 1974 quasi 38 milioni di italiani sono chiamati a votare. Votano “no” il 59,1 per cento degli italiani. Il risultato è dirompente. L’Unità titola: “Grande vittoria della libertà: il popolo italiano fa prevalere la ragione, il diritto, la civiltà”. L’editoriale affidato al segretario del Pci Enrico Berlinguer saluta “un’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. Non la vittoria di un singolo partito, ma il contributo di “un larghissimo schieramento di forze politiche, sociali, culturali diverse” hanno portato il no alla vittoria.
La ragione del successo sta nel rifiuto di gran parte dell’elettorato Dc di seguire l’indicazione di voto e la linea politica della segreteria dello Scudo crociato. Insomma, milioni di elettori cattolici avevano voltato le spalle ai Gabrio Lombardi e ai Fanfani schierandosi per il “no”.

Ordine pubblico e finanziamento pubblico dei partiti. L’11 giugno 1978 si vota sulla legge Reale (ordine pubblico) e sul finanziamento pubblico dei partiti introdotto dalla legge Piccoli n.195/1974. Proposta dal democristiano Flaminio Piccoli (Dc), la norma viene approvata in soli 16 giorni con il consenso di tutti i partiti, ad eccezione del partito liberale. Nonostante l’invito a votare “no” da parte dei partiti che rappresentano il 97 per cento dell’elettorato, il “si” raggiunge il 43,6 per cento, pur senza avere successo. Secondo i promotori del referendum lo Stato deve favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario per fare politica, invece di garantire le strutture e gli appartati di partito, che devono essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti.

Ordine pubblico, ergastolo, porto d’armi e aborto. Il 17 maggio 1981 i referendum sono cinque: due sulla legge 194 sull’aborto, tre per abrogare la legge Cossiga sull’ordine pubblico, l’ergastolo e il porto d’armi. Con la sua proposta il Partito Radicale aveva l’obiettivo di cambiare la legge in alcuni suoi aspetti, facendo ad esempio cadere la condanna a tre anni di reclusione per chi abortiva o faceva abortire dopo i novanta giorni di gravidanza o eliminando il divieto di aborto per le minorenni. Veniva inoltre avanzato un ulteriore quesito dall’associazione cattolica “Movimento per la Vita” che mirava ad abrogare altre parti della legge con l’intento di rendere l’aborto meno praticabile. Ancora una volta la vittoria dei “no” è schiacciante con l’88,4 per cento dei voti.
Il quesito sull’Abolizione del Tribunale Militare venne superato dal Parlamento. Sei furono invece quelli bloccati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Responsabilità civile del giudice e localizzazione delle centrali nucleari. Il Partito Radicale, il Partito liberale italiano e il Partito socialista italiano, presentano nel 1987 la richiesta di tre referendum per ottenere la responsabilità civile dei magistrati, l’abrogazione della Commissione inquirente e del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. Tra i protagonisti che in quegli anni si battevano per la riforma della giustizia c’è Enzo Tortora, conduttore televisivo accusato sulla base di alcune dichiarazioni di pentiti di essere colluso con la camorra e il traffico di stupefacenti, rivelatesi successivamente false. La lunga detenzione del conduttore, e la successiva elezione nelle liste Radicali che sosteneva le sue battaglie politiche, contribuisce ad alimentare la discussione pubblica nel paese e nei mezzi di comunicazione sulla situazione della giustizia italiana. 
In quegli anni c’è inoltre una domanda sempre maggiore di una più efficace e consapevole tutela dell’ambiente in particolare dopo il disastro di Chernobyl. La difesa dell’ambiente e la lotta al nucleare già dal Congresso del 1977 furono di centrale importanza per la politica del Partito Radicale: vengono riproposti tre quesiti per abolire le norme sulla realizzazione e gestione delle centrali nucleari, i contributi a Comuni e Regioni sedi di centrali nucleari, le procedure di localizzazione delle centrali nucleari e due quesiti tendenti ad abrogare l’insieme di norme, contenute nella legge n. 968 del 1977, che disciplinavano i limiti dell’attività venatoria, in termini di specie cacciabili, tempi consentiti, modalità della caccia e altri aspetti particolari che contrastavano con le stesse proclamazioni della legge sulla priorità dell’esigenza di tutela della fauna selvatica.
I referendum abrogativi dell’8 novembre 1987 si conclusero con una netta affermazione dei “sì”, che di media nei 5 quesiti raggiunsero circa l’ 80 per cento delle preferenze.

Fallimento per i quesiti ambientalisti – Il 3 giugno 1990, si vota su tre referendum di iniziativa ecologista, due sulla caccia e uno sui pesticidi. I “sì” sono più del 90 per cento, ma il numero dei votanti non raggiunge il 50 per cento, il quorum necessario affinché la consultazione sia valida.

Il primo referendum sulle leggi elettorali – Il 9 giugno 1991 si vota per abrogare le preferenze elettorali. Respinte dalla Consulta altre due richieste (sistema elettorale di Senato e Comuni), presentate da Segni. I “sì” sono il 95,6%, i votanti il 62,2%, fallisce quindi l’invito di Craxi ad “andare al mare”.

Modifiche al sistema elettorale – Il 18 aprile 1993 si vota su otto referendum. Gli elettori rispondono con otto “sì”. Il voto più importante è quello che modifica in senso maggioritario la legge elettorale del Senato. Aboliti tre ministeri (Agricoltura, Turismo e Partecipazioni statali), il finanziamento pubblico dei partiti, le nomine politiche nelle Casse di Risparmio.

I referendum sulla tv – L’11 giugno 1995 si vota per 12 referendum. Il “no” vince sui tre quesiti più importanti che riguardano la legge Mammì, e sulla richiesta di modificare il sistema elettorale per i Comuni.

“Tutti al mare” – Il 15 giugno 1997 niente quorum per i sette referendum superstiti (dei 30 iniziali). Si vota su Ordine dei giornalisti, “golden share”, carriera e incarichi extragiudiziari dei magistrati e altri argomenti minori.

Fallito per poco il referendum sul proporzionale – Il 18 aprile 1999 il referendum per l’abolizione della quota proporzionale nel sistema elettorale per la Camera fallisce per pochissimo. Votano solo il 49,6%. Tra i votanti il “sì” ottiene il 91,5%. Errore di previsione dell’Abacus, le cui prime proiezioni danno per raggiunto il quorum.

Quorum lontanissimo: Il 21 maggio del 2000 si vota per sette referendum abrogativi. Nessuno di loro raggiunge il quorum. La percentuale dei votanti oscilla tra il 31,9 e il 32,5%. Il “sì” ha comunque la maggioranza nei referendum per l’elezione del Csm, gli incarichi extragiudiziali dei magistrati, la separazione delle carriere, i rimborsi elettorali, le trattenute sindacali e l’abolizione della quota proporzionale. Sono invece di più i “no” nel referendum sui licenziamenti.

La battaglia sull’articolo 18. Il 15 giugno 2003 gli elettori sono chiamati a votare per due referendum:  l’estensione a tutti i lavoratori del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa promosso da Rifondazione Comunista e l’abrograzione dell’obbligo per i proprietari terrieri di dar passaggio alle condutture elettriche sui loro terreni promosso dai Verdi. Entrambi non raggiungono però il quorum e la consultazione viene dichiarata non valida.

Procreazione medicalmente assistita. Il 12 e 13 giugno 2005 gli italiani sono chiamati a esprimersi su quattro referendum abrogativi della legge 40 promossi da una coalizione composta da Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Democratici di sinistra, Socialisti democratici italiani, Rifondazione Comunista e singoli esponenti di vari partiti. Le proposte referendarie mirano a garantire la fecondazione assistita non solo alle coppie sterili ma anche a quelle affette da patologie geneticamente trasmissibili; eliminare il limite di poter ricorrere alla tecnica solo quando non vi sono altri metodi terapeutici sostitutivi; garantire la scelta delle opzioni terapeutiche più idonee ad ogni individuo; dare la possibilità di rivedere il proprio consenso all’atto medico ogni momento; ristabilire il numero di embrioni da impiantare. E’ di nuovo scontro tra laici e cattolici, tra pro-choice e pro-life. 

La strategia della Chiesa punta sull’astensionismo. Il cardinale Camillo Ruini interviene al consiglio permanente della Cei: “E’ inutile inseguire cambiamenti della legge in Parlamento poiché nessuna modifica apporterebbe miglioramenti alla legge 40/2004, la quale salvaguarda principi e criteri essenziali”. Il motore della campagna per l’astensione ai referendum è stato il comitato Scienza&Vita, coordinato dai professori Bruno Dallapiccola e Paola Binetti, con l’adesione di tutte le principali componenti dell’associazionismo cattolico. Contro l’invito di Camillo Ruini a non andare a votare per i referendum, si levano i cristiani non cattolici, in particolare contro la mancanza di pluralismo dell’informazione sui referendum si schiera la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, che riunisce battisti, luterani, metodisti. Con l’avvicinarsi della consultazione tuttavia, seppur il dibattito fosse vivo tra scienziati, teologi ed opinionisti, numerosi sondaggi dimostrano che pochi italiani in realtà erano informati sui quattro quesiti: dal sondaggio Abacus commissionato dai Radicali a febbraio 2005, emerge che il 64 per cento degli italiani aveva intenzione di andare a votare per i referendum, ma il 43 per cento di questi avrebbe voluto informarsi meglio prima di decidere se pronunciarsi per il sì o per il no; il 22 per cento era all’oscuro del fatto che si sarebbero votati dei referendum nelle settimane seguenti e il 65 per cento degli intervistati era poco o per nulla informato sulla fecondazione assistita; il numero saliva al 79% di coloro che non conoscevano i contenuti della legge 40. L’obiettivo della Chiesa è centrato: i referendum non raggiungono il quorum minimo, perché solo il 25,9 per cento degli aventi diritto si reca alle urne.

Niente quorum nei referendum sulla legge elettorale. I referendum abrogativi del 2009 (anche detti referendum sulla legge elettorale), distinti in tre quesiti sulla legge 21 dicembre 2005, n. 270, “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, si tengono il 21 e il 22 giugno 2009, in corrispondenza ai ballottaggi per le elezioni amministrative locali. I tre referendum prevedono la modifica della legge elettorale tramite l’abolizione di parte del testo. Pur essendo formalmente dei referendum abrogativi essi prefiguravano una serie di modifiche all’attuale legge elettorale. I primi due quesiti intendono assegnare il premio di maggioranza del 55% dei seggi alla prima lista vincente e non alla coalizione. Il terzo intende abrogare la possibilità di candidature contemporanee delle stesse persone in più circoscrizioni elettorali. Gli elettori chiamati al voto sono 47,5 milioni, più 3 milioni di elettori all’estero. Vista la bassa affluenza alle urne per tutti e tre i quesiti (attestatisi al 23,31% i primi due, e al 23,84% il terzo), i referendum vengono dichiarati non validi.

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