Con il passare delle ore, il giallo diventa sempre più complicato. Questa mattina il network afgano Tolonews aveva lanciato la notizia della morte del Mullah Omar, presumibilmente ucciso mentre veniva trasferito dai servizi segreti pakistani da Quetta alla provincia frontaliera del Nord Waziristan, una delle aree al confine tra Pakistan e Afghanistan.

L’unica conferma ufficiale a questa versione, attribuita a una fonte anonima del National Directorate of Security (NDS, i servizi segreti di Kabul) è arrivata da Luftullah Mashal, portavoce dell’organismo.

Tolonowes chiamava in causa direttamente Hamid Gul, ex direttore – considerato tutt’ora potentissimo – dell’ISI, il servizio di intelligence pakistano. Gul ha smentito nel modo più categorico possibile questa versione dei fatti, dicendo che si tratta di affermazioni “ridicole”. Una smentita altrettanto netta è arrivata dai talebani, che attraverso il loro portavoce Zabiullah Mujahid hanno detto che il leader spirituale dei turbanti neri “è vivo e sta bene”.

La smentita di Gul non si limita a dire che non è vero che il Omar sia stato ucciso, ma nega perfino che sia in Pakistan, dove invece potrebbe nascondersi, secondo molti esperti, e proprio nella zona di Quetta. “I Talebani controllano il 75 per cento dell’Afghanistan – ha sostenuto Gul – Hanno la loro amministrazione parallela e il loro sistema giudiziario parallelo. Non vedo perché Omar dovrebbe nascondersi in Pakistan”.

Dello stesso tenore il comunicato arrivato da Mujhaid, che sostiene che Omar “è vivo, in Afghanistan” e guida i guerriglieri.

Le dichiarazioni successive complicano ancora il quadro. In una conferenza stampa a Kabul, poche ore fa, lo stesso Mashal, portavoce dell’NDS ha in parte ritrattato la conferma della morte di Omar. Mashal si è limitato a dire che “da quattro o cinque giorni” si sono perse le tracce del mullah, che avrebbe lasciato il suo rifugio in Pakistan. E a ingarbugliare ulteriormente le cose, sono arrivate le notizie di un’altra agenzia stampa afgana, Pajwhok, che sostiene che il mullah sarebbe stato ucciso da agenti dell’Isi assieme a uomini armati della Rete Haqqani, un altro movimento armato afghano vicino ai Talebani, contrario al governo di Hamid Karzai. Gli Haqqani hanno una delle loro retrovie logistiche proprio nel Nord Waziristan dove, secondo la ricostruzione di Pajwhok, il mullah Omar doveva essere portato prima di essere comunque ucciso dai servizi pakistani. La ragione di questo trasloco forzato, stando ancora a Pajwhok, sarebbe che l’Isi voleva far ritrovare il corpo di Omar vicino al confine afgano per evitare che si ripetesse lo smacco subito con il blitz statunitense che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden. Inoltre, fornendo agli Usa il cadavere del leader spirituale dei talebani, l’Isi e il governo pakistano volevano ri-accreditarsi come alleato credibile e affidabile.

Ammesso che questa ricostruzione sia vera – e dunque che il mullah Omar sia stato davvero ucciso – è chiaro che c’è la rivalità strisciante tra i servizi segreti di Kabul e quelli di Islamabad sta ormai arrivando a un punto di rottura e diventa sempre più difficile da contenere. Se invece si scoprisse che il mullah, sulla cui testa pende una taglia statunitense da 25 milioni di dollari, non è stato ucciso, bisognerebbe chiedersi quale sia l’interesse dei servizi afgani (e del governo Karzai) a diffondere una storia falsa. Se non per indebolire ulteriormente la credibilità del governo di Islamabad che, come l’attacco alla base navale di Karachi dimostra, si trova in un momento di massima vulnerabilità.

Joseph Zarlingo Lettera 22

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