Da settimane, in Irlanda le facciate dei palazzi vengono riverniciate, le aiuole riempite di fiori, le strade riasfaltate, maxi-schermi imponenti piazzati in alto sulle vie principali. Membri della guardia nazionale con mute da sommozzatore si calano nelle fogne per controllare se qualcuno vi abbia piazzato ordigni o abbia lasciato indizi di volerlo fare. Nei luoghi designati, il personale viene perquisito e ogni angolo ispezionato, ripulito, reso sicuro.

Nei quartieri, per le vie, i ristoranti propongono “menù reali” a prezzi scontati e da giorni si lavora per realizzare gli street party in cui festeggiare: per molti irlandesi in questa settimana ci sarà un giorno di vacanza in più. Ogni notte, invece, su pali e pareti, qualcuno affigge dei volantini di protesta e propone convegni e conferenze su “l’orribile storia della dinastia Windsor”. Oltre 10 mila tra poliziotti e soldati sono stati mobilitati, con monumentali restrizioni di accesso e viabilità a tutte le zone interessate, mentre gli infiltrati dei servizi segreti inglesi e irlandesi hanno verificato ormai tutte le azioni di dissenso preparate da gruppi politici e informali, affinché la protesta non risulti “eccessiva” (un paio di bombe sono state segnalate e disinnescate tra ieri e l’altro ieri).

I sovrani del Regno Unito di Gran Bretagna sono arrivati ieri in Irlanda, dopo oltre un secolo di scontri aperti, repressioni, rivolte popolari, attentati e, infine, freddi e formali rapporti diplomatici. Il periodo della visita è stato furbescamente scelto subito dopo le nozze di William e Kate, che hanno tenuto incollati agli schermi e ai tabloid perfino molti Irlandesi.

Nonostante questo, non è esagerato dire che oltre la metà della popolazione non vede di buon occhio l’arrivo dei reali inglesi, membri di una dinastia che si trovava al potere quando si sono realizzati i più recenti episodi di violenza e repressione in Irlanda del Nord e nella Repubblica. La ferita è ancora aperta e molti adulti ricordano con commozione gli eventi nefasti dei decenni passati. Solo qualche giorno fa, il 5 maggio, si sono celebrati ad esempio i 30 anni dalla scomparsa di Bobby Sands, lasciatosi morire di fame nel carcere dove era stato imprigionato, per protestare contro le inumane condizioni di vita dei prigionieri politici irlandesi. Anche ieri era giorno di rievocazione, con l’anniversario della morte di 34 irlandesi (uomini, donne e bambini) avvenuto il 17 Maggio 1974: la maggiore perdita di vite in un solo giorno di tutto il conflitto nordirlandese.

Un’altra scelta poco felice è quella di coinvolgere nell’evento l’Ulster Defence Association (Uda), uno dei gruppi paramilitari lealisti che si sono macchiati in passato di omicidi e atrocità, in genere contro cittadini cattolici inermi (e con il supporto dei servizi segreti inglesi). Anche i più giovani, nonostante la messa al bando della violenza sia considerata doverosa, esprimono spesso parole di grande antipatia verso la coppia reale e dell’assoluta inopportunità di questa visita. L’attenzione è focalizzata in questo caso sui 30 milioni di euro che costa l’intera organizzazione alle finanze irlandesi e sui disagi causati alla popolazione.

Ad ogni modo, l’evento è considerato da tutti epocale e l’ago della bilancia emotiva degli irlandesi varierà a seconda delle parole che la regina Elisabetta II pronuncerà sul tema della riappacificazione. Nel bene o nel male, il suo discorso al memoriale dedicato ai morti per la causa irlandese, sarà seguito da tutta la nazione.

di Mauro Longo, giornalista freelance italiano in Irlanda

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