Il procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, ha chiesto un mandato di arresto contro Muammar Gheddafi, il figlio Saif al-Islam e il capo dello spionaggio libico, Abdullah al-Senussi per crimini contro l’umanità. Il rais è indicato come colui che ha “personalmente ordinato gli attacchi contro i civili libici innocenti”. “Abbiamo prove enormi – ha spiegato il procuratore -, siamo praticamente pronti ad andare al processo”. Queste prove, racconta Ocampo, dimostrano come gli atti violenti venissero pianificati “in apposite riunioni” e compiuti anche contro presunti colpevoli – le cui liste vengono preparate su ordine di Gheddafi – che vengono “arrestati, imprigionati e torturati e poi spariscono nel nulla”. L’annuncio della richiesta dei mandati e le voci di un coinvolgimento del rais erano già arrivate giorni fa. Oggi invece la richiesta ufficiale.

La diplomazia internazionale continua intanto il suo lavoro verso una soluzione politica della crisi in Libia. Che dovrebbe passare per un ‘cessate il fuoco’ da parte del Colonnello, ieri annunciato – ma non è la prima volta – dal primo ministro del regime, Baghdadi al-Mahmoudi. Una possibilità che l’Italia prenderà in considerazione, se “seguita dai fatti”. Lo ha dichiarato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la sua visita in Israele. “Vogliamo la più rapida cessazione dello spargimento di sangue” è la posizione espressa anche dal ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov. Mosca è da principio contraria alle operazioni militari nel Paese e il ministro incontrerà oggi il segretario generale dell’Onu per discutere della situazione. A opporsi all’offerta di un ‘cessate il fuoco’ da parte del regime è invece l’opposizione libica. “Il popolo libico non accetterà alcuna proposta da Gheddafi – ha dichiarato Hadi Shalluf, presidente del Partito di Giustizia e Democrazia -. L’unica cosa accettabile è che Gheddafi affronti un giudizio in Libia o presso il Tribunale penale internazionale”.

E in Italia si pensa già al dopo-rais. “Ci auguriamo che alla fine della crisi libica gli interessi italiani vengano confermati”, è il commento del ministro delle Attività Produttive, Paolo Romani, a margine della presentazione di un nuovo impianto di produzione Eni. Un interesse non solo economico, ma anche interno, per la gestione della crisi dei migranti. “Il presidente del Consiglio nazionale transitorio libico – ha ricordato il ministro degli Esteri, Franco Frattini – ha già detto che nel momento in cui assumessero il governo dell’intera Libia, gli sbarchi saranno bloccati”. “Il regime ha le ore contate – ha aggiunto il ministro -. Stiamo lavorando con l’Onu affinchè si trovi una via d’uscita politica che tolga di scena il dittatore e la sua famiglia e permetta la costituzione immediata di un governo di riconciliazione nazionale dove esponenti di Tripoli sarebbero già stati individuati”.

Molte “personalità ufficiali libiche”, intanto, avrebbero raggiunto nelle ultime ore la Tunisia, passando per il posto di frontiera di Ras Jedir, con destinazione Djerba. Una visita “nel quadro degli sforzi diplomatici per individuare una via d’uscita alla crisi libica”. Lo riferisce l’agenzia di stampa libica Tap, che specifica come tra questi ci sarebbero anche il direttore generale delle Dogane libiche, Ameur Diou, e il rappresentante di Tripoli alla Lega Araba, Ali Essid.

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