Il profilo di @alemarahweb su Twitter

NEW YORK – “Almeno dodici guardie di sicurezza sono state uccise, e quattro ferite, giovedì, nell’attacco contro il convoglio degli invasori che portava rifornimenti nella capitale della provincia di Ghazni”, in Afghanistan. “Undici invasori Usa e Nato sono stati uccisi, e altri undici feriti, negli scontri e bombardamenti dei mujahideen, l’altra notte”. Dispacci dal fronte afghano, con firma talebana, sono apparsi, ora anche in inglese, su Twitter.

Sul profilo @alemarahweb si leggono brevi messaggi, principalmente in pashtun ma, da qualche giorno, anche nella lingua di Shakespeare. Sono testi stringati, molto fattuali, dal linguaggio secco. Offrono informazioni circostanziate su scontri e uccisioni, ma difficilmente vengono presi in considerazione dai media occidentali, che li considerano propaganda di un’organizzazione terroristica.

Gli utenti di Twitter che seguono i Taleban, per il momento, non superano il migliaio. Ora, però, il loro numero potrebbe aumentare. I tweet afghani, in effetti, sono parte di una massicia operazione mediatica che tenta di combattere le forze degli Stati Uniti e della Nato anche sul piano di immagine e comunicazione. I messaggi – mai più di 140 caratteri – rimandano al sito dei Taleban, intitolato “Emirato islamico dell’Afghanistan”, lo stesso nome dato al governo-ombra dei combattenti che appoggiavano Osama bin Laden e che considerano Hamid Karzai una “marionetta” dell’Occidente.

Il loro sito offre informazioni in inglese, pasthun, arabo, urdu e farsi. Contiene una miriade di brevi notizie, analisi, filmati. Si dichiara, ad esempio, che “il martirio dello sceicco Osama bin Laden non porterà benefici all’America”. Ma ci sono anche ricostruzioni, ovviamente favorevoli ai combattenti islamici, di una guerra che viene raccontata sempre meno. I contenuti spesso saltano per l’espulsione dai server ordinata dalle autorità. Uno degli articoli racconta come i mujahideen abbiano costruito un tunnel di 360 metri per far evadere 500 prigionieri dal carcere di Khandahar, beffando la sicurezza afghana come era già accaduto nel 2008. Il testo, scritto in ottimo inglese, afferma che nello “scontro di muscoli tra fede e tecnologia” ha vinto il rigore religioso talebano.

I Taleban possono vantare un ufficio stampa con due portavoce che, dopo la grande evasione, hanno fatto intervistare gli ex prigionieri ai giornalisti. I mujahideen si spendono molto nell’offensiva mediatica, ma lamentano che il loro lavoro non viene usato da giornali e tv. “Solo il 10% per cento del nostro materiale viene pubblicato”, dicono con rammarico. Jon Boone, corrispondente del Guardian da Kabul che per primo ha scoperto la “rivoluzione talebana su Twitter”, sostiene che spesso la loro macchina di propaganda è più veloce dei burocratici addetti stampa della Nato. Interessante è studiare non solo quello che i Taleban scrivono, ma anche quello che leggono: sul loro account Twitter si nota che seguono i messaggi scritti da @Afghantim, un ufficiale americano esperto di logistica che fa il consigliere militare per l’esercito afghano e @aghanHeroesUK, organizzazione caritatevole che raccoglie fondi per le truppe britanniche dispiegate in Afghanistan.

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