Lo ha ripetuto ogni volta che ha potuto: il voto a Milano ha valenza nazionale. “Serve a rafforzare l’operato del governo”. Così Silvio Berlusconi ha acceso la sfida elettorale milanese. In due mesi si sono svolti qualcosa come diecimila appuntamenti, con Letizia Moratti (forte dei suoi 12 milioni di budget) a farla da padrona. Ad avere rilievo nazionale sono state anche le polemiche. In particolare il caso di Roberto Lassini, padre dei manifesti “fuori le Br dalle procure”; la questione liste pulite e, infine, lo scontro televisivo tra Moratti e Pisapia finito con una querela per diffamazione aggravata.

“Fuori le Br dalle procure”. I manifesti appaiono a Milano la notte del 13 aprile. Appena due giorni dopo gli attacchi rivolti dal Presidente del Consiglio alle toghe milanesi, accusate di essere “eversive” e invocando una “commissione d’inchiesta”. I manifesti, affissi principalmente nella zona di palazzo di Giustizia, sono firmati “associazione dalla parte della democrazia”. Presidente è Roberto Lassini. Che la domenica si autodenuncia in un’intervista a Il Giornale dicendo però di non saperne nulla. Lassini è candidato nella lista del Pdl che sostiene Moratti e ha come capolista proprio Silvio Berlusconi. La polemica è immediata. Interviene anche il Capo dello Stato definendo i manifesti “una ignobile provocazione”. Moratti inizialmente chiede le immediate dimissioni di Lassini ma viene criticata dai falchi del partito, Mario Mantovani e Daniela Santanchè in testa che invece, sposano la candidatura di Lassini e dicono: “Decideranno gli elettori nelle urne se votarlo o no, la Moratti parli meno”, tuona Santanchè. Ma il sindaco insiste, e minaccia: “Io e Lassini siamo incompatibili, in lista o io o lui”. E si guadagna nuovi attacchi da parte del partito. Il premier non interviene ma nel quartier generale del Pdl in viale Monza si contano i risultati positivi della campagna contro i magistrati: sono cinque i punti percentuali guadagnati in vista delle amministrative. Così il caso rientra, l’inchiesta della Procura va avanti ma si blocca sulla scrivania del guardasigilli, Angelino Alfano, cui spetta dare il via libera. Lassini, intanto, si scusa con Napolitano. Annuncia di volersi ritirare, poi ritratta, infine dice: “Resto il lista, è impossibile ritirarmi”. E fa campagna elettorale in vista del voto. Con la benedizione del Pdl che le ha affiancato anche la combattiva Tiziana Maiolo, e che lo vuole portare al Palasharp dove il premier interverrà in sostegno di Moratti. Ma Lassini viene convinto a non presentarsi, però al mattino distribuisce volantini e santini per caldeggiare la sua elezione.

“Speriamo che muoia come un cane”. Marco Clemente, animatore della destra a milano e candidato nel Pdl alle comunali, viene intercettato al telefono mentre parla con Giuseppe Amato, braccio destro della cosca Flachi. L’augurio è rivolto a un titolare di un locale notturno del capoluogo lombardo, vittima delle estorsioni della cosca di Pepè Flachi. L’inchiesta è in mano alla Dda di Milano. Clemente nelle mani di Moratti. Che subito ne prende le difese: “Dopo 3 anni di indagini la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano diretta da Ilda Boccassini, nota per la sua capacità e meticolosità, ha ritenuto di non dover neppure indagare Marco Clemente. Dunque i magistrati non hanno rilevato comportamenti penalmente rilevanti a suo carico”. Il candidato del centrosinistra, Giuliano Pisapia, evita di entrare in polemica. E lascia l’affondo al suo portavoce, Maurizio Baruffi. “Mi chiedo con quale faccia il sindaco Letizia Moratti possa presentarsi davanti ai cittadini in compagnia del candidato del suo partito Marco Clemente”, dice. Dal Pdl ribatte l’onorevole Giorgio Stracquadanio, che accusa i magistrati di aver fatto uscire il materiale su Clemente non a caso in campagna elettorale, nonostante si trovasse “nella Procura della Repubblica da più di tre anni senza che ne fosse uscito nemmeno una virgola”. Adesso il materiale investigativo “viene volantinato da magistrati felloni – aggiunge l’onorevole – che intervengono per la quinta volta consecutiva a gamba tesa in una campagna elettorale che ogni giorno di più perde il suo carattere democratico”. E di nuovo la magistratura finisce nella campagna elettorale del Pdl.

“E’ responsabile del furto di un furgone che sarebbe stato usato per il sequestro e il pestaggio di un giovane. Pisapia è stato amnistiato”. Letizia Moratti aspetta gli ultimi 18 secondi del confronto televisivo a Sky per rivolgere l’accusa all’avversario candidato sindaco. Un’accusa che poi si rivelerà falsa perché Pisapia non solo ha rinunciato in primo grado all’amnistia ma ha ricevuto l’assoluzione piena nel grado successivo. Fatti che risalgono agli anni 70. Eppure Moratti omette l’assoluzione e sfrutta le battute finali del confronto per lanciare l’attacco. Pisapia decide di querelare il sindaco per diffamazione aggravata e sceglie come legale difensore l’avvocato Umberto Ambrosoli. La nuova polemica arriva a pochi giorni dal voto. E, a differenza del caso Lassini, questa volta il premier interviene sostenendo Moratti. “Ha fatto bene, brava Letizia che tira fuori le unghie”. Con la benedizione di Berlusconi il candidato sindaco in cerca di rielezione, non si tira indietro. Non si scusa, rilancia: “Pisapia ha frequentato ambienti estremisti e oggi è sostenuto dai centri sociali, non è il moderato che tenta di spacciarsi, la moderata sono io”. Anche se viene ripresa dalla Lega, critica anche nel caso Lassini. Umberto Bossi dice che Moratti “ha sbagliato” ad attaccare in quel modo Pisapia e che per quanto “non credo possa spostare voti” è comunque stato “un errore”.

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