L’inseguimento, l’individuazione e l’uccisione di Osama Bin Laden hanno richiesto agli Stati Uniti quasi dieci anni di sforzi. Un impegno senza precedenti che, unitamente al suo corollario rappresentato dai conflitti in Iraq e Afghanistan, è costato al Paese l’esorbitante cifra di 2.000 miliardi di dollari. Oltre un quinto dell’ammontare totale del debito pubblico nazionale. Lo rende noto Bloomberg citando le conclusioni dell’analisi effettuata sui dati a disposizione dalla stessa agenzia di stampa. Nel solo ultimo anno fiscale, gli Usa hanno speso per la guerra ad al-Qaeda qualcosa come 285 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, i contribuenti americani ne hanno versati 45 per coprire i soli interessi sui prestiti contratti dal Paese per finanziare le operazioni belliche e di intelligence.

“Anche da morto, negli anni a venire Osama Bin Laden si prenderà la sua rivincita sui taxpayers statunitensi”, scrive non senza ironia Bloomberg. E non sarà una “rivalsa” a basso costo. Gordon Adams, docente dell’American University’s School of International Service e già supervisore al bilancio per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Clinton, non ha dubbi. Circa 125 dei 553 miliardi di budget destinati al Pentagono nel 2012 rappresenterebbero spese “superflue” giustificate dalle contingenze della guerra. Se non fosse stato per lo sceicco saudita, ha dichiarato a Bloomberg, questa enorme imposta scaricata sui contribuenti americani “non ci sarebbe mai stata”. Escludendo le guerre in Iraq e Afghanistan, la spesa sostenuta dal Pentagono dal 2002 a oggi ha ecceduto di 742 miliardi le previsioni fatte dal Congresso prima dell’11 settembre 2001.

A pesare sulla “Bin Laden Tax”, come l’ha soprannominata l’agenzia, ci sono anche le spese dell’intelligence. Negli ultimi 12 anni, segnala ancora Bloomberg, i finanziamenti alle attività di spionaggio sono triplicati crescendo al ritmo del 9,6% all’anno. Nel 2009, l’ultimo anno di cui si hanno informazioni certe, il budget per questa voce di spesa ha raggiunto gli 80,1 miliardi. Quanto al Dipartimento per la sicurezza nazionale (Department of Homeland Security) si parla di 123 miliardi aggiuntivi spesi negli ultimi nove anni per pagare, oltre al resto, gli stipendi dei circa 216 mila impiegati che compongono la nuova burocrazia dell’antiterrorismo.

Fatti i conti, insomma, si arriva a un esborso extra equivalente a più del 20% dell’attuale debito pubblico Usa. Ma la stima potrebbe essere corretta al rialzo. Qualcuno, come Mark Zandi, il capo economista di Moody’s Analytics, lo ha già fatto parlando apertamente di 2.500 miliardi, praticamente 250 miliardi all’anno. Qualcun altro, in passato, era andato addirittura oltre.

All’inizio del 2008, il premio Nobel Joseph Stiglitz ipotizzò che la sola Guerra in Iraq, inclusi i costi post bellici, fosse già costata all’amministrazione qualcosa come 3.000 miliardi di dollari. Un cifra ascrivibile per intero alla guerra al terrorismo (e che quindi rientrerebbe nello stesso criterio di calcolo di Bloomberg) visto che i supposti legami tra la rete di Al-Qaeda e l’allora regime di Saddam Hussein furono per l’amministrazione americana tra i principali elementi di giustificazione del conflitto. In cinque anni, in pratica, la campagna irachena aveva già superato sul fronte dei costi attualizzati l’ultradecennale guerra del Vietnam. Con la cifra spesa per conquistare Baghdad, argomentò Stiglitz, gli Usa avrebbero potuto, in alternativa, finanziare tra le altre cose l’assistenza pubblica per il successivo mezzo secolo, costruire 24 milioni di case popolari e fornire per tre anni l’assicurazione sanitaria a 530 milioni di bambini. Un paragone impressionante. Comunque la si pensi.

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