In tempi di grandi emergenze militari ogni ministro della Difesa che si rispetti indossa la tuta mimetica.

È un segnale: il capo degli eserciti mostra che è pronto a combattere. Ma allora quando infuria l’influenza il ministro della Sanità dovrebbe girare con il camice bianco e lo stetoscopio nel taschino e il ministro dell’Agricoltura con cappello di paglia e il forcone nella crisi delle quote latte, il ministro del Lavoro in tuta da operaio il giorno dello sciopero generale, il ministro delle Finanze con il cesto della questua in tempi di legge finanziaria, il ministro dell’Interno in manette ogni volta che sbarca un clandestino. E il ministro delle Pari opportunità il giorno del Gay Pride dovrebbe conciarsi da travestito.

Sembra un’arlecchinata, invece è l’irruzione nella filosofia politica di una nuova scienza, da sempre trascurata: la Mimetica. Mentre l’Etica definisce il Giusto e l’Estetica il Bello, la Mimetica serve a confondere l’uno e l’altro.

Il giorno dei primi bombardamenti italiani in Libia ha fatto bene il nostro ministro della Difesa a indossare una mimetica giallo ocra e terra bruciata: i colori del deserto.

Ma allora, per tattica coerenza, il giorno dello spiegamento dei nostri militari a Napoli come immondezzai avrebbe dovuto indossare una mimetica color umido organico e pantegana morta, con lattine di pomodoro e sacchetti di plastica appesi all’elmetto.

Sarebbe stato il completamento della Mimetica nella sua più moderna forma di Pantomimetica.

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