Sul sito dell’Fbi, il nome di Osama bin Laden non è stato (ancora) cancellato dalla lista dei “super-ricercati”, i most wanted. Ma, accanto al nome del fondatore e capo della rete terroristica al Qaida, c’è la dizione deceased, defunto, come a dire “questo ce lo siamo tolto di torno”. L’uccisione di Osama, lo sceicco del terrore, cambia la mappa dei latitanti d’America (e del mondo). Riviste, come Forbes o Time, compilano classifiche che danno l’impressione giornalistica di un cambio della guardia nelle priorità della sicurezza internazionale: narcotrafficanti e mafiosi, anche italiani, in vetta alla lista, al posto dei terroristi.

Ma l’Fbi e la Cia, che badano al sodo e non guardano al titolo, hanno una linea più conservativa. Se usiamo l’entità della taglia, come criterio oggettivo per valutare la pericolosità percepita dei ricercati, vediamo che la cricca di al Qaeda continua a dominare la scena. Exit Osama, con un risparmio di 25 milioni di dollari – la taglia non sarà pagata, è stato detto, a tacitare voci di soffiate e tradimenti. Resta, “quotato” come lui, il suo vice e probabile successore, Ayman al-Zawahiri, un medico egiziano, figura meno carismatica e fisicamente meno ieratica, ma ideologicamente molto preparato. Poi, con un taglia di 5 milioni, alcuni qaedisti di vecchio corso, yemeniti ritenuti responsabili dell’attacco al cacciatorpediniere Cole (17 morti nell’autunno 2000, all’ingresso nel porto di Aden), libanesi considerati protagonisti d’un dirottamento aereo nel 1985, un presunto “bombarolo” nel 1998 delle ambasciate Usa di Nairobi e Dar-es-Salam. Vale un milione una soffiata che conduca ad Adam Gadahn, lo jihaddista americano, portavoce californiano – strano, ma vero – di al Qaeda.

In questa “hit parade” ufficiale, il primo non integralista islamico è quotato “solo” 250mila dollari: è Daniel Andreas San Diego, un integralista dell’animalismo, una cui azione salvò cavie, ma fece due vittime umane. Per l’intelligence americana, come per la polizia federale Usa, l’uccisione di Osama non cambia, dunque, almeno a caldo, la percezione della minaccia. Ma, da tempo, Hollywood e le serie tv sono alla ricerca di cattivi alternativi al terrorista mediorientale, così tutto d’un pezzo nel suo fanatismo da avere poco appeal come personaggio. E, allora, mentre Time si contenta di mettere Osama in prospettiva storica – fra i più grandi criminali di tutti i tempi, o fra le “primule rosse” dai covi meglio protetti (fino al 1o maggio) -, Forbes mette “il Corto” in testa alla sua classifica mondiale dei 10 most wanted: Joaquin Guzman, detto El Chapo – è basso di statura -, sanguinario narcotrafficante messicano. Subito dietro, il criminale indiano Dawood Ibrahim, che collabora anche con organizzazioni terroristiche (c’era il suo zampino negli attacchi a Mumbai del 2008, oltre 190 vittime). Forbes non dimentica al-Zawahiri, tra mafiosi nostrani come Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, e pendagli da genocidio africani.

Liste ufficiali e classifiche stampa hanno un dato in comune: non lasciano spazio a “post-sovietici”. I cattivi per antonomasia di James Bond e di Air Force One sono ormai icone del passato.

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