Le confezioni dei prodotti alimentari europei dovranno riportare più informazioni. Compresa quella sul Paese d’origine. Ma per le associazioni dei consumatori, il recente voto della commissione Ambiente dell’Europarlamento sul nuovo regolamento per le etichette non è una vittoria piena. Le indicazioni sulla composizione dei cibi finiscono infatti sul retro. “In una posizione poco visibile”, accusano.

A Bruxelles la definizione delle regole sulle indicazioni obbligatorie per i prodotti alimentari costituisce da sempre una battaglia sotterranea nella quale si fronteggiano due interessi contrapposti: da un lato il benessere e la salute dei cittadini, dall’altro gli interessi delle grande aziende produttrici. Con il nuovo regolamento carne, prodotti lattiero-caseari, frutta e verdura fresche avranno l’indicazione obbligatoria del luogo d’origine. Ma le indicazioni importanti per la salute, come la quantità e il contenuto energetico di grassi, grassi saturi, zuccheri, sali, proteine, carboidrati e grassi transgenici, finiscono nella parte posteriore della confezione. “Per cercare queste informazioni il consumatore dovrà rigirare il prodotto tra le mani”, accusa Monique Goyens, direttrice generale dell’European Consumers’ Organisation (Beuc), “alla faccia della trasparenza”.

Queste indicazioni, obbligatorie e standardizzate per gli alimenti prodotti in tutti i Paesi Ue, avrebbero dovuto fornire informazioni chiare e univoche sul reale apporto calorico dei cibi, sostituendosi a diciture meno precise spesso usate dalle aziende (dimagrante, tonificante, brucia grassi, ecc..). Se due settimane fa l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha bocciato l’80 % delle 442 diciture esaminate per “mancanza di un valido supporto scientifico”, il problema esiste. Ma secondo la Beuc non è stato risolto con il nuovo regolamento, una di “batosta per i consumatori”. Qualcosa comunque cambierà anche per l’Italia, dove ora l’obbligo di informazioni dettagliate vale solo per alcuni alimenti: carne bovina, ortofrutta fresca, uova, miele latte fresco, pollo, passata di pomodoro, extravergine di oliva.

Del voto dell’Europarlamento non è soddisfatta la stessa responsabile del rapporto sulle etichette, la popolare tedesca Renate Sommer, che ha seri dubbi sui reali benefici per i consumatori di questa indicazione, che secondo lei rischia di essere solo “un problema per le Pmi e un regalo per le grandi multinazionali”. La Sommer fa l’esempio della confettura di fragole, dove le piccole aziende spesso utilizzano frutti raccolti in più Paesi nel corso dell’anno secondo la stagione, la qualità e il prezzo: “Questo porterebbe i produttori a stampare 20 diverse etichette”. Un altro rischio è che puntare troppo sull’indicazione d’origine possa aumentare una sorta di “protezionismo” interno all’Ue stessa.

La Sommer, insomma, non ha dubbi e accusa qualche collega di “aver votato solamente secondo gli interessi commerciali del proprio Paese”. Delusi socialisti e verdi. Secondo l’inglese laburista Glenis Willmott, “le persone hanno il diritto di avere subito le informazioni su quello che mangiano per fare le scelte migliori per la loro salute”. Per il verde svedese e vice presidente della commissione Ambiente, Carl Schlyter, si è trattato addirittura di un tentativo di “nascondere le informazioni”.

Non è la prima battaglia che in Europa si fa sulle etichette alimentari. Lo scorso giugno le grandi lobby alimentari hanno contrastato in ogni modo il “semaforo nutrizionale”, ovvero l’indicazione nutrizionale unica per cibi e bevande, che con i colori del semaforo avrebbe dato informazioni sulle conseguenze per la salute dei prodotti. “A Strasburgo non si sono mai visti così tanti lobbisti”, aveva riferito un’esponente della Beuc, mentre secondo la Corporate Europe Observatory, che studia l’influenza delle lobby imprenditoriali sulle istituzioni Ue, era stato speso circa un miliardo di euro per difendere gli interessi delle industrie agroalimentari. Descritta dai media come “la guerra alla Nutella”, la votazione del Parlamento europeo si era risolta in una vittoria per le industrie produttrici, in primis dolciarie, e per “una dura sconfitta” per i cittadini europei, secondo le associazioni dei consumatori.

Ora, per diventare legge, il voto della commissione Ambiente dovrà essere approvato dall’intero Parlamento a luglio e poi superare il cosiddetto “trilogo”, ovvero le negoziazioni con Commissione europea e Consiglio Ue, una vera e propria Scilla e Cariddi quando ci sono tanti interessi di mezzo.

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