È tempo di aprire gli occhi. La presenza mafiosa è viva e si avverte anche in una regione come l’Emilia Romagna che ha sempre pensato di avere nel suo sistema gli anticorpi per evitare che la criminalità organizzata ne penetrasse le istituzioni. Per lanciare l’allarme e chiedere ai cittadini di non ignorare un fenomeno preoccupante la Provincia di Rimini, rappresentata dal presidente Stefano Vitali, in collaborazione con l’associazione “Vedo, sento, parlo”, ha organizzato l’incontro “Verso un patto per la legalità”. Vitali ha inteso confrontarsi con l’esperienza di Enrico Bini, presidente della camera di commercio di Reggio Emilia, città che da tempo ha dovuto reagire a un sistematico piano di aggressione del territorio da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. L’obiettivo dell’incontro era quello di aiutare i riminesi, grazie all’esempio di Reggio Emilia, a prendere coscienza di un problema effettivo e ad avviare le pratiche necessarie a sconfiggere sul nascere il radicamento di una cultura criminale.

“È tempo di dire come stanno davvero le cose – ha affermato Vitali. Finora noi riminesi ci siamo chiusi a riccio, abbiamo negato che ci fossero problemi, ma il nostro territorio viene utilizzato come lavanderia di denaro sporco. Le forze di polizia –ha proseguito il presidente della Provincia- avranno la capacità di intervenire solo se le istituzioni e i cittadini vorranno fare quadrato e creare un circolo virtuoso che renda davvero impermeabile il territorio”. La ricetta di Vitali per reagire all’escalation della mafia a Rimini è quella della prevenzione integrata: suggerisce infatti una sinergia tra tutte le componenti del tessuto sociale sano, veri e propri cani da guardia in operazioni quali il rilascio di licenze, i passaggi di proprietà, gli affitti d’azienda. In quest’opera di vigilanza gli enti locali e tutte le associazioni di categoria e volontariato hanno, sostiene Vitali, un ruolo fondamentale.

L’articolo 1 della legge regionale n. 11 (26 novembre 2010) dimostra di aver recepito chiaramente la portata reale dell’attacco che le mafie stanno sferrando al sistema economico: “La Regione Emilia-Romagna  – si legge nel testo – coopera con lo Stato, le altre amministrazioni pubbliche e le parti sociali, per la promozione dell’ordinata convivenza e della legalità contro i fenomeni di infiltrazione mafiosa, del lavoro irregolare, dell’usura e dei comportamenti illegali che alterano il mercato del settore edile e delle costruzioni a committenza pubblica e privata”.

Fu la straordinaria chiaroveggenza di Leonardo Sciascia a profetizzare che “la linea della palma si sarebbe alzata”. A ricordarlo è Fabio Granata, vicepresidente della commissione parlamentare antimafia, ieri a Rimini per promuovere con l’altro deputato Fli Enzo Raisi, la candidatura a sindaco di Pasquale Barone. Sciascia intendeva dire che la cultura mafiosa si sarebbe propagata anche nel resto del Paese, e la mafia sarebbe stata come il giunco che, flessuoso, sa abbassarsi quando passa la piena, per poi risollevarsi quando le acque si sono calmate. Sull’esigenza di non abbassare mai la guardia torna Enrico Bini, al quale l’esperienza nel territorio reggiano e le minacce ricevute da imprenditori criminali hanno insegnato ad avere a che fare con “una realtà ignorata per troppo tempo”. Per contrastare gli affari della criminalità organizzata, che a Reggio è prevalentemente la ndrangheta calabrese, la camera di commercio diretta da Bini ha siglato a marzo del 2010 un protocollo contro la criminalità e per la legalità, assieme alle camere di Caltanissetta, Crotone e Modena. Al documento, proposto poi ad Unioncamere, hanno aderito altri 11 enti camerali d’Italia. Rimini ne è ancora fuori.

I settori storici nei quali la mafia cerca di farsi strada in regione sono i trasporti, l’edilizia e il commercio. Ora anche l’intermediazione ortofrutticola è da tenere sott’occhio. Il protocollo delle camere di commercio ha lo scopo di aiutare le imprese a certificarsi istituzionalmente. Il controllo della loro trasparenza è reso possibile dal database “Revisual”, che InfoCamere nazionale ha donato alle forze di polizia, facilitandone il lavoro attraverso l’esame di visure incrociate.

Il meccanismo di penetrazione della criminalità in Emilia-Romagna prevede l’acquisto di aziende in difficoltà che non riescono a ottenere credito dalle banche. Le mafie forniscono il denaro in contanti, così allo stesso tempo riciclano il denaro e costituiscono un patrimonio, intaccando il tessuto imprenditoriale. “Ciò è possibile – sostiene Vitali – perché c’è un sistema bancario criminale che, non prevedendo soluzioni alternative di credito, incentiva il ricorso a soggetti che operano al di fuori della legalità”. E quando a essere al di fuori della legalità sono proprio le banche il quadro si complica. Nel 2010 la Cassa di risparmio di Rimini e il Credito di Romagna sono state commissariate per “gravi irregolarità” legate a rapporti poco chiari con istituti di credito della Repubblica di San Marino: si è trattato di riciclaggio e mancata trasparenza nel primo caso, riciclaggio e usura nel secondo.

Il fenomeno estorsivo è uno dei danni collaterali previsti per quegli imprenditori che cercano di risollevarsi con l’aiuto del denaro dei malviventi. Con il protocollo si è costituito un fondo di primo intervento nei confronti delle imprese colpite da usura, a patto che queste denuncino gli autori. A Rimini, per Vitali, sembra essere proprio questo il punto, la scelta consapevole della legalità e fornisce qualche dato: “Abbiamo 36500 piccole imprese, 2400 alberghi, centinaia di ristoranti che producono una rendita mostruosa. È possibile che Rimini sia solo la centotreesima città italiana nella dichiarazione dei redditi? Ovviamente no. L’abitudine di troppi all’evasione fiscale non fa altro che creare quell’humus nel quale le mafie riescono a proliferare. Non possiamo chiedere legalità se noi operiamo al di fuori di questa”.

Anche Graziano Urbinati, segretario generale Cgil Rimini propone alcune cifre sulle frodi al fisco e il lavoro in nero: “Un’indagine recente del Sole 24 Ore fissa a una media di 20 mila euro la dichiarazione dei redditi a Rimini, la città nel rapporto tra sportelli bancari e popolazione è seconda solo a Trapani ed è una delle prime per immatricolazioni di suv. Le ispezioni della Direzione provinciale del lavoro Inps e Inail – prosegue Urbinati – hanno trovato 1300 dipendenti in nero in più di 80 imprese”.

Vitali indica una linea etica che gli imprenditori riminesi dovrebbero seguire, anche se in difficoltà economiche: “Bisogna avere il coraggio di non vendere la propria attività a persone la cui onestà non è provata”. E prosegue: “Anche le istituzioni devono fare la loro parte, basta con le gare al ribasso nell’affidare gli appalti!”. Bini, d’accordo, mette in guardia i committenti che “devono allarmarsi –sostiene- quando vengono proposti ribassi del 30 per cento. Non stupiamoci –aggiunge- se negli edifici al posto del calcestruzzo c’è qualcos’altro, oppure se i rifiuti finiscono sotto qualche terreno agricolo al sud”. Scenari da Gomorra insomma. “Ma affinchè in Emilia Romagna non succeda lo stesso –conclude- non possiamo militarizzare il territorio, la società civile deve ricreare la cultura della legalità”. Vitali auspica che anche la camera di commercio di Rimini entri a far parte al più presto del protocollo di Unioncamere, dimostrando di “voler trasmettere l’idea di un territorio che non vuole essere conquistato”.

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