Nell’ascesa al 17 marzo, ci siamo sfiniti a proclamare l’importanza del Risorgimento e della nostra costruzione nazionale. Per dare nuovo sangue a spenti entusiasmi ci siamo accaniti a rispolverare vecchi eroi che sanno inesorabilmente di stantìo.

Di Cavour, Mazzini e Pellico erano piene le nostre terze pagine come un tempo i nostri sussidiari. Ma gli eroi scarseggiano nelle società moderne e anche raccogliendoci sulle tombe dei nostri caduti in Afghanistan non riusciamo a provare altro che una grande compassione. Inutile, morire per la patria non è più un valore. Non ci sono più monumenti per i nuovi caduti.

Forse perché è l’idea stessa di patria a essere stantìa, almeno quella delle piccole patrie che, come vediamo oggi con la questione dell’immigrazione, stanno soffocando la nascita di una patria più grande, quella europea. In questo deserto di ideali, la vita e la morte di Vittorio Arrigoni risaltano invece come esemplari. Nella sua vicenda riconosciamo ancora la generosità e la spregiudicatezza dell’eroe, l’opera di un uomo che crede in qualcosa di ben più grande di una guerra.

Arrigoni è un Garibaldi moderno, stroncato troppo presto perché potesse compiere la sua impresa dei Mille. Come Garibaldi, Arrigoni era accorso dove la libertà soffriva, dove la guerra infuriava, dove c’erano popoli oppressi : un nuovo eroe dei due mondi. Non aveva eserciti né istituzioni, né Stati dietro di lui. Solo la sua nuda volontà di difendere l’ideale universale dell’uguaglianza e della pace.

Non aveva armi, Arrigoni, ma la sua morte ha scosso le coscienze molto più di un attentato o di un’azione militare. Non lavorava per una patria, Vittorio, anzi di patrie proprio non ne aveva, rifiutava di averne e lo diceva che «apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana». Sono questi gli eroi di cui avremmo bisogno oggi.

Quelli che non sparano, che non difendono interessi, che non chiedono niente a nessuno e che non sappiamo neppure che esistono finché non muoiono. Una statua a Vittorio Arrigoni al posto di quelle a Vittorio Emanuele: ecco un monumento che avrebbe un significato e un insegnamento anche per gli italiani delle prossime generazioni.

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