Magari non ci avete fatto caso, ma negli ultimi mesi i telegiornali ci hanno mostrato quasi quotidianamente immagini di manifestazioni, disordini e sommosse popolari nell’area del Mediterraneo, senza mai presentarci un capo della rivolta. L’unico leader che veniva menzionato era quello da abbattere: Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Bashar al-Asad e così via.

Abbiamo visto immagini della tv di stato (poche), immagini filmate da reporter indipendenti (un po’ di più), immagini riprese direttamente da qualche manifestante con una videocamera amatoriale o addirittura col telefonino (tante). Abbiamo assistito a delle vere e proprie rivoluzioni in Tunisia, in Egitto, in Libia e adesso in Siria.

Eppure nessun commentatore si è preso la briga di spiegarci chi è che, in quei paesi, si è messo a capo dell’opposizione al regime, chi ha guidato o semplicemente ispirato gli uomini e le donne che scendevano in piazza a chiedere, anzi: pretendere, libertà e democrazia. Come si chiama? Quanti anni ha? Che cosa fa nella vita? Dove ha studiato? È alto o basso?

Non si sa, nessuno ha voluto raccontarcelo.

Perché non sono andati a intervistarlo? I giornalisti si sono presi le ferie tutti nello stesso periodo? Sono stati assaliti da un improvviso attacco di pigrizia? Si tratta forse dell’epidemia di una qualche malattia professionale come la tanto chiacchierata sindrome da stanchezza cronica?

No, niente paura: non è un problema sanitario. È solo che, quelle rivoluzioni, un leader non ce l’hanno proprio avuto, e tutt’ora non ce l’hanno. I movimenti, le rivendicazioni, le manifestazioni e le rivolte: sono nate dal basso, coordinate attraverso il passaparola e Internet. Si sono costituiti microgruppi di attivisti connessi tra di loro attraverso vari livelli “a rete”, chi intorno a un blog, chi su skype, twitter o facebook. Cyber-attivisti che, come scrive Viviana Mazza sul Corriere, non sono a loro volta gli organizzatori “ma aiutano i comitati a condividere le informazioni” e passano le giornate “a confermare i dati su arresti, morti, proteste” aggirando (e insegnando agli altri ad aggirare) la censura.

Come ho già detto, l’unica leaderhip presente è quella da abbattere. Più che leadership si tratta, letteralmente, di leadershit. Che non va sostituita con un’altra leadership, ma semplicemente rimossa, perché i nuovi protagonisti non sembrano sentirne il bisogno e appaiono perfettamente in grado di muoversi e organizzarsi in modo autonomo e partecipativo.

Dipenderà da una qualche peculiarità della nuova generazione protagonista nel mondo arabo, mediorientale o maghrebino? Oppure ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale su larga scala, i cui effetti diventano sempre più evidenti e significativi in tutti i contesti economici, sociali e politici del pianeta?

Come direbbe Corrado Guzzanti, “la seconda che hai detto”. E nei prossimi post proverò a raccontare perché.

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