Le associazioni ambientaliste locali denunciavano da tempo la pericolosità degli inceneritori di Forlì. A dare ragione ai loro timori è uno studio realizzato dall’Associazione Medici per l’Ambiente in collaborazione con il Consorzio interuniversitario nazionale di chimica per l’ambiente di Venezia, che ha elaborato i risultati.

Nei primi mesi di quest’anno, sono stati condotti esami su polli allevati all’aperto a 800 m, a 2 km e a più di 20 km dagli inceneritori, su uova di galline allevate all’aperto a 800 m e 3,8 km, e su campioni di latte materno di mamme residenti a 500 m e a 1,9 km dagli impianti di incenerimento dei rifiuti.

“Le indagini mostrano che entro un raggio di 2 km tutti i campioni di alimenti eccedono i livelli che le normative stabiliscono per tali inquinanti (uova e polli) e che si assiste ad una loro netta diminuzione man mano che ci si allontana dagli impianti”, hanno dichiarato la dottoressa Patrizia Gentilini e il dottor Stefano Raccanelli. “Queste sostanze non sono assunte attraverso l’aria che si respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse attraverso i fumi, contaminano terreno e pascoli ed entrano nella catena alimentare”.

Per le diossine, infatti, il pericolo non è rappresentato dall’aria che si respira, ma dagli alimenti contaminati che finiscono nei nostri piatti ogni giorno. “Si tratta di molecole molto stabili e perciò persistenti, sono insolubili in acqua ma hanno un’elevata affinità per i grassi”, hanno spiegato gli autori dello studio. “Si accumulano negli organismi viventi in concentrazioni anche molte migliaia di volte superiori rispetto all’ambiente”.

Alla presentazione dei risultati di questa ricerca non sono mancate le reazioni, a cominciare da Hera, gestore dell’inceneritore di Coriano, tramite le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Hera Ambiente, Claudio Galli, che sostiene che “le emissioni sono un centesimo rispetto ai limiti di legge e si possono verificare sul sito del gruppo.”

A portare i dati, e la battaglia, in Comune è la lista civica DestinAzione, tramite la consigliera Raffaella Pirini. “La diossina forse non si trova in eccesso negli inceneritori perché la si cerca nei posti sbagliati, dunque?”, chiede ironicamente, “La diossina che ci interessa, invece è quella che si accumula negli alimenti che noi mangiamo e nei nostri tessuti, si accumula ed è persistente rendendo vane le assicurazioni di Hera che sta già dicendo che lei rispetta i limiti, anzi è al di sotto di essi di 100 volte… il concetto giusto è che anche entro i limiti di legge, la diossina va evitata perché rappresenta un pericolo”.

La consigliera di DestinAzione non risparmia critiche nemmeno alle amministrazioni locali. “Nella gestione rifiuti il buon senso e la responsabilità nei confronti dei cittadini avrebbe dovuto già da un pezzo fatto intraprendere la riduzione drastica dell’incenerimento dei rifiuti. Questa cosa si spera avvenga ora con l’avvio del Porta a Porta in una realtà popolosa come quella di Forlì. Le amministrazioni comunale, provinciale e regionale non hanno assolutamente mostrato di interessarsi a questi problemi, facendo finta che non esistessero, anzi addirittura sminuendoli”.

“L’esposizione a diossine è correlata sia allo sviluppo di tumori”, ricordano gli autori dello studio sull’area degli inceneritori, “ma anche a disturbi quali danni riproduttivi, abortività, malformazioni specie urogenitali, endometriosi, anomalie dello sviluppo cerebrale, endocrinopatie, disturbi polmonari, danni metabolici con innalzamento di colesterolo e trigliceridi, danni cardiovascolari, epatici, cutanei, deficit del sistema immunitario”.

Non si è fatta attendere una risposta anche da parte di Arpa e Ausl di Forlì, che sostengono che nelle loro attività di monitoraggio, i valori dei campioni di terreno analizzati, provenienti da punti di minima e massima ricaduta “sono risultati analoghi a quelli riscontrati in terreni di aree rurali in diversi paesi europei”.

Se i controlli effettuati sui fumi degli inceneritori sono ben al di sotto dei limiti di legge, come dichiarato anche da Hera, per Arpa e Ausl le cause della presenza di diossina sono da ricercare altrove, perché, “data la persistenza nell’ambiente di queste sostanze, la loro eventuale presenza nel terreno e quindi nella catena alimentare va quindi ricondotta a inceneritori nelle configurazioni impiantistiche del passato oppure ad altre sorgenti.”

“Nel biennio 2009-2010, nel forlivese, sono stati analizzati 24 campioni di varie matrici (uova, carne di pollame, carne bovina e suina, latte bovino e olio)”, continua la nota di Arpa e Ausl. “Tutti gli esiti analitici sono stati negativi”.

“Ci sono subito delle obiezioni da fare”, risponde la dottoressa Gentilini alla nota di Arpa e Ausl. “Quando si dice che le emissioni sono nei limiti di norma per singolo metro cubo, non si tiene conto dei volumi totali dei fumi che escono dai camini degli inceneritori. Questo dato può andare bene per il gestore, non per le istituzioni che dovrebbe occuparsi della tutela della salute dei cittadini. In più le diossine si concentrano anche nei sistemi di filtraggio e queste ceneri devono essere smaltite, quindi è possibile una dispersione nell’ambiente”.

“I tecnici di Arpa hanno realizzato analisi sul latte materno? Quali sono i luoghi in cui hanno raccolto i dati?”, si domanda Patrizia Gentilini. “Se sono così tranquilli, possiamo fare una verifica in doppio cieco.”

“I nostri dati superano i livelli previsti dal regolamento 1881 della CEE e questo risultato è inconfutabile”, spiega il dottor Stefano Raccanelli.  “Inoltre in Italia non è previsto un limite di legge per la presenza di diossina sui terreni dedicati alla pastorizia e all’allevamento di animali. Per quel che riguarda i dati sull’aria, Arpa non ha tuttora la strumentazione atta a campionare le emissioni di diossine secondo le norme europee. Non sono nemmeno accreditati a fare questo tipo di monitoraggio. Quindi non sono in grado di dire qual è il reale flusso di massa di diossine da un inceneritore e l’impatto che ha sull’ambiente.”

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