Piacerà pure agli adolescenti dediti alle languidezze vampiriche di moda, ma come nuova fantasia sulla regina di tutte le favole, Cappuccetto Rosso Sangue (dal 22 aprile nelle sale) funziona davvero poco. Non per caso regista del primo Twilight, Catherine Hardwicke dirige una sceneggiatura liberamente ispirata alla notissima fiaba popolare europea, mantenendosi così indecisa sulla strada da percorrere da sconfinare nell’inconcludenza. Poi, se si ha qualche anno in più e si ricorda In compagnia dei lupi (1984) di Neil Jordan è fatta: il lieve disagio davanti alle pur belle immagini si trasforma presto in insofferenza.

Benché entrambi ispirati alla medesima fiaba trascritta anche da Perrault e dai Grimm, i due lavori non hanno quasi nulla in comune. A differenza delle idee preconfezionate della nuova pellicola, infatti, il Cappuccetto Rosso secondo Neil Jordan rimane uno dei titoli più personali del cinema inglese degli anni Ottanta. Pauroso, sensuale, inafferrabile, onirico come pochi altri: del resto coincide quasi per intero con il viaggio nella mente di Rosaleen, una ragazzina preda di strani sogni in cui gli uomini e i lupi sono tutt’uno. Mai metafora fu più chiara per un film sul cammino di una bambina che, sognando, smette di esserlo.

Il territorio in cui ci conducono le fantasie della giovane protagonista altro non è che la foresta dei simboli, la messinscena della crescita e della lotta tra impulso naturale e educazione, tra il distacco dalle radici famigliari e la libertà dalle inibizioni. Teorie freudiane e umori gotici si mischiano in un film totalmente dalla parte delle fanciulle, ispirato alla memorabile antologia La camera di sangue di Angela Carter; dieci racconti che riscrivono le fiabe e le favole più conosciute concentrandosi sul ruolo delle donne.

In compagnia dei lupi è un’opera di rara sottigliezza che preferisce lasciar intuire piuttosto che spiegare, sussurrare invece che gridare, piena di sequenze memorabili e pregna di uno stile visivo d’antan capace di catapultarti nelle illustrazioni di un libro per bambini che avevi dimenticato. Siete avvisati: chi ha apprezzato Cappuccetto Rosso Sangue e i suoi giovinastri da rivista di moda potrebbe non sopportare il ritmo ondivago del vecchio cult di Neil Jordan.


Piacerà pure agli adolescenti dediti alle languidezze vampiriche di moda, ma come nuova fantasia sulla regina di tutte le fiabe, Cappuccetto Rosso Sangue (dal 22 aprile nelle sale) funziona davvero poco. Non per caso regista del primo Twilight, Catherine Hardwicke dirige una sceneggiatura liberamente ispirata alla notissima fiaba popolare europea, mantenendosi così indecisa sulla strada da percorrere da sconfinare nell’inconcludenza. Poi, se si ha qualche anno in più e si ricorda In compagnia dei lupi (1984) di Neil Jordan è fatta: il lieve disagio davanti alle pur belle immagini si trasforma presto in insofferenza.
Articolo Precedente

Donne brutte ai tempi del velinismo

next
Articolo Successivo

Piccoli uomini, piccolo mondo moderno…

next