Totò Cuffaro sapeva di aiutare i boss. E’ questa la tesi di fondo delle 80 pagine di motivazione della sentenza emessa lo scorso 22 gennaio, con cui la Cassazione confermava la condanna a sette anni di reclusione dell’ex presidente della regione Sicilia. Rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale, con l’aggravante di aver favorito l’intera organizzazione mafiosa di Cosa Nostra. Questi i reati addebbitati a Cuffaro. Per la Cassazione, è accertata “la sussistenza di ripetuti contatti” fra l’ex governatore della Sicilia e “vari esponenti” mafiosi, con i quali “aveva stipulato un accordo politico-mafioso”.

Il rapporto con il boss di Brancaccio e le elezioni. Cuffaro ha aiutato Cosa Nostra non solo inserendo nelle liste elettorali personaggi graditi ai boss, ma anche rivelando più volte ad esponenti mafiosi l’esistenza di indagini nei loro confronti. La Cassazione ricorda l’accordo stretto tra l’ex presidente della regione siciliana e il boss-medico Giuseppe Guttadauro, capomandamento di Brancaccio. Una mobilitazione elettorale dell’intera famiglia mafiosa, in cambio di un aiuto per ottenere un ammorbidimento del regime carcerario del 41 bis e il controllo sulle attività economiche – anche pubbliche – del territorio.

Come Cuffaro ha intralciato l’inchiesta. Per i giudici, inoltre, l’ex governatore è colpevole di aver provocato la “fine sostanziale” delle indagini sui rapporti tra mafia e politica, rivelando al boss Guttadauro l’esistenza di una microspia in casa sua. Una mossa non casuale, messa in atto nove giorni prima delle elezioni per il Parlamento siciliano. Secondo la Cassazione – considerati gli elementi emersi nell’indagine fino a quel momento – se Cuffaro non avesse fatto il doppio gioco, altri dettagli avrebbero potuto essere raccolti sugli stessi Guttadauro e Cuffaro, ma anche sugli altri dieci indagati.

I rapporti con il ministro dell’Agricoltura Saverio Romano. Nelle 215 pagine della sentenza, i giudici analizzano la posizione di tutti i coindagati. Fanno riferimento in particolare alle elezioni regionali del 1991, in cui Totò-vasa-vasa – com’è stato definito l’ex governatore – era candidato. “In tale occasione Cuffaro”, scrive la Cassazione, “Ammetteva di essersi recato, insieme a Saverio Romano, dal Siino per chiedergli sostegno alla propria candidatura”.  L’attuale ministro dell’Agricoltura, Romano, e il boss affarista – adesso collaboratore di giustizia – Angelo Siino. Lo stesso che, ricordano ancora i giudici, “ha riferito della visita degli allora giovani Cuffaro e Romano nella quale entrambi gli chiedevano apertamente sostegno elettorale”. Incontro che l’ex governatore non ha mai smentito, pur negando di essere a conoscenza della “mafiosità di Siino”. Eppure sia Franco Bruno – che la Corte definisce di “elevatissima attendibilità” – sia Calogero Mannino, ex ministro Dc dell’Agricoltura, avevano più volte sconsigliato a Cuffaro di incontrare il ‘ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra – com’era soprannominato Siino –, spiegandogli “quale fosse il ruolo e la dimensione criminale di costui”. E ancora, sempre la Cassazione ricorda l’episodio delle elezioni regionali del 2001, quando il collaboratore di giustizia Francesco Campanella racconta di aver trattato con l’attuale ministro Romano la candidatura di Giuseppe Acanto, uomo della famiglia mafiosa di Villabate e del suo boss Antonino Mandalà, e vicino a Bernardo Provenzano. Romano “aveva immediatamente assicurato l’inserimento di detto soggetto tra i candidati, chiedendogli (a Campanella ndr) di fargli avere al più presto i documenti e mandandogli i saluti per Mandalà Antonino stesso”, scrive la Cassazione, citando la Corte d’Appello. Al momento delle elezioni verrà però eletto solo il maresciallo dei carabinieri Antonio Borzacchelli, come deciso da Cuffaro. Il militare, infatti, era la talpa del governatore, colui che lo informava delle inchieste su mafia e politica. Nonostante questo – secondo i giudici evidentemente cosciente degli appoggi di Acanto – Cuffaro gli trova comunque un posto, con la nomina a liquidatore di due cooperative.

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per gli incarichi pubblici ricoperti”

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