Oggi farò felici i lettori reazionari del Fatto ammettendo un grosso errore combinato da buona parte di noi progressisti. Abbiamo sbagliato qualche cosa con i nostri figli. Erano piccoli e meravigliosi, dolci, amorevoli, creativi. Li abbiamo cresciuti liberi e forti, abbiamo insegnato loro a ragionare in modo indipendente, abbiamo rispettato le loro opinioni, abbiamo sollecitato la loro mente parlando sempre in modo aperto di tutti i problemi. Abbiamo ammesso i nostri errori e i nostri limiti rinunciando a far finta di essere perfetti. Abbiamo fatto il meglio che abbiamo potuto…

Poi, quando sono diventati grandicelli, i nostri pargoli, si sono in molti casi rivoltati contro di noi con una durezza selvaggia. E tu ti trovi lì, in preda ad angosce e paure potenti e soffri come un cane cercando di ricostruire un rapporto. E ti rendi conto che anche loro ci stanno male e non sai come aiutarli perché non ti ascoltano più… E ti chiedi: “Dove ho sbagliato?” E guardi altre famiglie, di quelle autoritarie vecchio tipo, con i figli che magari rigano dritto e non gli verrebbe mai in mente di rispondere ai genitori, ben sapendo che prenderebbero un fracco di botte, e quasi quasi, incoffessabilmente, li invidi… E quando parli con altri “compagni” (metto le virgolette) che già ci sono passati e ormai hanno la prole adulta, ti dicono: “Resisti, poi passa e si ricrea un rapporto…”.

Io, soffrendo e ragionando, mi sono dato una ragione di questo dolore e di questo trauma famigliare. Certamente di errori ne ho fatti… Ma credo che il più grosso sia stato non rendermi conto di che cosa sia per un ex infante “diventare grande”, affacciarsi alla vita, gestire autonomamente le relazioni sociali. La mia attenzione era incentrata sulla nascita, il parto dolce, l’educazione alla creatività e al lavoro manuale… L’adolescenza mi ha colto impreparato, non me l’aspettavo così presto, non ci avevo pensato. E poi, anche se ci siamo passati tutti in questo bailamme del diventare adulti, ce lo siamo un po’ dimenticati.

E ripenso a quel che successe a me: stavo veramente in confusione… Ci si trova a dover misurare la propria vita, decidere chi sei, capire quanto potere hai. Credo sia un momento di autoaffermazione spaventoso. E’ chiaro che ti devi scontrare con tutto quello che ti limita. E guardacaso i genitori rappresentano proprio i limiti, i divieti (oggi non esci, devi fare i compiti, metti a posto, lavati i denti…). Se non li hai “spezzati” psicologicamente da piccoli, i figli diventano tremendi in questa crisi di crescita edonistico-reganiana, assetata di potere.

Certo, non succede a tutti. Conosco padri e madri evidentemente migliori di me, che, pur praticando la libertà, sono riusciti a far fare un atterraggio morbido ai figli… Ma comunque il processo di accettazione delle regole, la comprensione dei propri limiti, l’accettazione dei difetti degli altri è una strada in salita per tutti. Un momento pazzesco che noi genitori affrontiamo impreparati. Molto impreparati.E spesso perdiamo anche noi le staffe, il che peggiora la situazione. Non sopporti che la tua creaturina adorata sia tanto maleducata… Per giunta l’hai educata tu e ti senti un fallito. Non credo ci sia la bacchetta magica per affrontare questo muro. Tocca scalarlo.

Osservo, però, che c’è una risposta che funziona: riuscire a fare qualche cosa di appassionante insieme a tuo figlio. Costruire, giocare, chiacchierare, fare sport, sono l’unica medicina. I figli hanno un disperato bisogno di misurarsi, di vedere che cosa sono capaci di fare, di sperimentare la passione. La situazione, mi pare, è tanto più grave in quei periodi in cui non riesci a trovare il tempo, il modo, lo spirito, per fare qualche cosa insieme (magari perché sei in difficoltà con il lavoro o hai altri guai).

E’ una problematica che le popolazioni primitive, saggiamente, affrontano con grande dispendio di energie collettive, facendo percorrere ai giovanissimi un preciso percorso basato su prove di coraggio e abilità, a volte durissime, condivise con tutti gli adulti. Un momento centrale e solenne nella vita della comunità, che mette al centro di tutto i “giovani eroi”. Esiste una prova che devi superare e se ci riesci avrai i diritti di un adulto: semplice, chiaro, rassicurante. I moderni riti iniziatori non hanno la stessa potenza ed efficacia. E le televisioni idiote ingorgano le menti dei nostri figli con falsi obiettivi, false prove, pseudosicurezze… E tu genitore devi pedalare il doppio a inventare qualche cosa che sia appassionante, e che tu possa fare con tuo figlio alla pari, collaborando, senza gerarchia. Nel senso che un conto è parlare insieme, un conto è fare la predica.

Vorrei un partito che avesse nel suo programma qualche cosa per aiutare i genitori alle prese con le tempeste dell’adolescenza. Un partito che avesse tra i suoi obiettivi la ricostruzione di un tessuto sociale che aiuti i figli a crescere: una scuola che non insegni solo teorie, ma faccia lavorare con le mani, spazi culturali che incoraggino la passione per le arti, trasmissioni televisive che parlino ai ragazzi di quel che vivono invece di vendere sogni di plastica… E modi di abitare che permettano a molti ragazzi di crescere assieme e ai genitori di far fronte comune (El pueblo unido jamás serà vencido!). La famiglia mononucleare, ognuno solo con il suo problema, è faticosa…

Ps: Cari lettori reazionari, comunque non gongolate troppo. Non sto abiurando i canoni dell’educazione progressista. Sto solo dicendo che, anche se il principio è giusto applicarlo, è durissimo.

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