Trasformare il voto delle amministrative in un referendum su se stesso in modo da opporre un’eventuale vittoria a qualsiasi tentativo, anche ai livelli istituzionali più alti, di fermare le riforme, a cominciare da quella della giustizia. Il rischio che Silvio Berlusconi ha deciso di assumersi non è di poco conto. In primo luogo perché il risultato delle urne è quanto mai incerto. In secondo luogo perchè – ed è l’altro timore che emerge a via dell’Umiltà – così facendo il Cavaliere rischia di incrinare definitivamente i rapporti con il Colle, come dimostra la durissima presa di posizione del Quirinale sulla giustizia. Ma evidentemente per il premier si tratta di una scelta obbligata. E’ una partita secca, non c’è andata e ritorno, o vinco io o trionfano le procure, ha ragionato il capo del governo qualche giorno fa con un parlamentare.

Quello che si respira, dunque, è un clima da “sfida finale”. E l’aver “politicizzato” il voto di maggio, definendolo un “test per rafforzare il governo” ne è la prova, visto che la giustizia è un elemento dominante dell’azione dell’esecutivo. Un modo per polarizzare lo scontro e trarne giovamento in termini di consensi, nella convinzione che la base berlusconiana è ancora sensibile a queste argomentazioni. Ma è anche un tentativo di blindare i provvedimenti di fronte alle barricate dell’opposizione e all’inevitabile esame del Colle.

Una scommessa, però, densa di rischi. Il primo e più grande è rappresentato proprio dall’incertezza del voto. Gli ultimi sondaggi in mano al Cavaliere non erano proprio esaltanti soprattutto per Milano con lo spettro del ballottaggio. E per dichiarare vittoria, concordano un po’ tutti nel Pdl, si dovrà confermare Milano e strappare Napoli. L’altro pericolo che annusano gli alti papaveri di via dell’Umiltà riguarda i rapporti con il Quirinale che sono talmente sfilacciati da rischiare lo strappo definitivo, nonostante i tentativi di mediazione. Berlusconi ne è consapevole, ma non pare intenzionato a retrocedere. Mette in conto l’opposizione del Colle, con il quale ora è gelo, e si attende una “levata di scudi” proprio sui testi in materia di giustizia, spiega un fedelissimo del premier, “e l’unico modo per non vederseli impallinati è opporre una vittoria elettorale”. Come a dire: sono riforme chieste dagli elettori.

Insomma, il voto come assicurazione sulla vita di alcuni provvedimenti giudicati fondamentali dal Cavaliere. Come la prescrizione breve. “Passerà prima delle amministrative, ma il Colle dovrà esaminarlo e potrebbe esprimere dubbi: ma se vincessimo avremmo un motivo in più per riproporre lo stesso testo”, azzarda un fedelissimo del premier. Anche se, aggiunge un altro dirigente pidiellino, “equivarrebbe a mettere la firma in calce ad una dichiarazione di guerra”. Berlusconi, ad ogni modo, non sembra intenzionato ad abbassare i toni. Come dimostra il suo silenzio sui manifesti anti-pm che tanto sdegno hanno provocato al Quirinale. Nonostante molti, persino ai piani alti di via dell’Umiltà, consiglino prudenza. “Puntare tutto sulla sfida contro i pm rischia di essere controproducente. La gente potrebbe stufarsi”, confida un dirigente del partito. Se a ciò si aggiungono le tante tensioni interne alla maggioranza, è chiaro come la scommessa del Cavaliere sia quantomeno rischiosa.

Insomma, il ragionamento del premier è chiaro: a partire dall’offensiva giudiziaria che “ormai è sotto gli occhi di tutti” una “persecuzione di cui sono vittima da 17 anni ad opera di pm e magistrati politicizzati, sinistra e media, che non perdono occasione per infangarmi e delegittimarmi, al solo scopo di farmi fuori per prendere il potere”. Dalle accuse non viene risparmiato, come già fatto anche ieri pubblicamente, il presidente della Camera Gianfranco Fini, “colpevole” per Berlusconi di aver “tramato”‘ alle sue spalle quando ancora era nella maggioranza e di aver siglato dopo un vero e proprio patto con la magistratura. Per questo, “devo difendermi – è la linea del Cavaliere – e smascherare il complotto”. E l’innalzamento dei toni da parte del premier e del livello di scontro, spiegano fonti Pdl, è dettato anche dalla necessita’ di rinsaldare le fila, serrare i ranghi e scuotere gli elettori: il voto di metà maggio, dunque, per Berlusconi deve diventare un plebiscito a suo favore. In ballo non ci sono solo città simbolo da confermare o conquistare ma la vita stessa del governo e della maggioranza, e saranno anche la prova – ne e’ convinto il premier – che il Terzo polo è solo un bluff, un partito non ancora nato e già morto e sepolto.

Nel frattempo, le cene delle varie correnti nel Pdl sono al momento sospese, ma nessuno sa dire fino a quando. Fra i Responsabil, inoltre, torna a serpeggiare un certo malumore per il ritardo nel rimpasto che se non dovesse arrivare questa settimana potrebbe trasformarsi in insurrezione. “Deve rispettare gli impegni, per il bene del governo”, ammonisce uno di loro. C’è poi il nodo Lega. Berlusconi continua a contare sull’asse con Umberto Bossi, ma altri nel Pdl guardano con sospetto all’attivismo del tandem Calderoli-Tremonti da una parte e di Roberto Maroni dall’altra. (fonte Agi, Ansa)

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