Maurizio Ferrera, professore di Scienza politica alla Statale di Milano

Maurizio Ferrera, professore di scienza politica alla Statale di Milano ed editorialista del Corriere della Sera, in vista della manifestazione del 9 aprile dei precari, avverte: “Il sistema politico non può fare finta di nulla deve comunque ascoltare chi protesta, guardando anche alle esperienze straniere”.

Professor Ferrera, cosa pensa del fatto che i precari si stanno organizzando per gridare il loro disagio?
È necessario perché il mondo dei giovani e dei disoccupati in generale soffre di una mancanza di rappresentanza sia nel mondo politico che in quello sindacale. In questo contesto non possono fare altro che autorganizzarsi con l’auspicio di andare oltre la piazza per chiedere di modificare una serie di regole del modello sociale italiano che rendono il precariato sempre più forte.

Quali regole?
Posso citare un esempio su tutti. La mancanza di canali istituzionalizzati per entrare nel mondo del lavoro. Ma anche entrare nell’ottica di una flessibilità che sia tale e che consenta occupazione. Il posto fisso garantito non esiste più sia nel pubblico che nel privato, ma ci sono strumenti che possono comunque corrispondere diritti ai precari.

I precari devono essere più flessibili, non sembra un contro senso?
Ognuno deve fare la sua parte. Si deve essere realisti sulla situazione dell’Italia e rivendicare ciò che è realmente conquistabile. Lo Stato deve fare la sua parte con un welfare più adeguato e correggerne distorsioni che sfiorano il paradosso. Ne è un esempio il sistema pensionistico che copre una parte delle pensioni dei lavoratori autonomi con i contributi versati dai precari che probabilmente una pensione non la vedranno mai. Chiedere interventi in questa direzione è più che sensato.

Quale è il passo successivo che la piazza del nove aprile deve fare?
Proposte, proposte e ancora proposte. Va bene manifestare, ma si deve dare un seguito alla protesta. Partiamo dai contratti, c’è un problema obiettivo, è necessario riformulare l’istituto del contratto a tempo indeterminato.

La faccia lei una proposta.
Per una flessibilità che funzioni si potrebbe lasciare al datore nel primo anno di lavoro più autonomia di licenziamento a favore però di un contratto che con il passare del tempo dia più tutele ad un lavoratore ormai formato e con esperienza consolidata. Da non trascurare anche la transizione scuola lavoro. Oggi non ci sono servizi che orientano i giovani al mercato del lavoro. Chi termina gli studi si trova davanti il vuoto. E poi l’orientamento alla formazione, domanda e offerta che non corrispondono mai.

Siamo poco competitivi sulla formazione?
Non si può trascurare che il tasso di iscrizione degli italiani negli istituti tecnici è molto più basso che nel resto d’Europa perché l’istruzione tecnico-professionale è sottovalutata. Ma il futuro passa sempre al cento per cento per i giovani che vanno anche ben indirizzati. Invece l’Italia è un Paese che strangola i cervelli, che non apre le porte ai giovani che non da segnali in nessun senso anche quando a chiederlo è l’Europa cui tra un anno dovremo rendere conto del tasso di disoccupazione che continua a crescere.

Una protesta dal basso che ha un forte valore e che può incidere sulle scelte di questo governo?
I giovani fanno numero, creano e distruggono consenso ne è un esempio la riforma Gelmini che li ha visti protagonisti in proteste, ma anche in proposte costruttive. Posso solo augurare di essere in grado ancora una volta di sollevare una protesta inspirata a principi di equità e pragmatismo.

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