Cipriano Chianese, avvocato e imprenditore di Parete nel casertano

Nel 1993 è stato coinvolto per la prima volta in un’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti, ma ne è uscito pulito. L’anno successivo si è candidato alla Camera con Forza Italia e ha perso le elezioni per pochi voti, prima di lasciare lo scettro politico in terra campana a Nicola Cosentino. Ma Cipriano Chianese, avvocato e imprenditore di Parete, comune in provincia di Caserta, non ha mai arrestato la sua ascesa. E oggi gli agenti della direzione investigativa antimafia di Napoli, guidati dal capocentro Maurizio Vallone, supportati dai colleghi di Padova, hanno eseguito contro di lui un decreto di sequestro emesso dalla procura di Santa Maria Capua Vetere.

Beni per un valore di 13 milioni di euro, tra questi una mega villa a Sperlonga, con 21 stanze e piscina. Tra le proprietà sequestrate anche un capannone industriale nel padovano, che appartiene a Franco Caccaro, imprenditore veneto, considerato prestanome di beni e società riconducibili a Chianese. Quest’ultimo, già destinatario di provvedimenti di confisca, con la sua Resit gestiva diverse discariche nel territorio campano. Nel 2006 fu arrestato per camorra e poi messo ai domiciliari nel 2010 per diverse truffe ai danni del commissario di governo per la gestione dell’emergenza rifiuti realizzate, tra il 2002 e 2003, anche attraverso minacce eseguite per mezzo di componenti del clan dei casalesi.

Nel decreto di sequestro vengono riportate le dichiarazioni di diversi pentiti che raccontano la capacità imprenditoriale del Chianese e gli investimenti nel nord Italia. Il collaboratore Raffaele Ferrara, per anni boss del clan dei Casalesi, nel 2002 raccontava: “Fu proprio il Chianese a proporci (…) in diverse occasioni di allestire un ufficio nel nord Italia che, sotto la sua direzione, si occupasse della materia dei rifiuti”. Canali che da anni e, nonostante le indagini a suo carico, ha attivato lo stesso Chianese.

Non solo, nel decreto viene riportato un altro episodio inquietante, raccontato dal collaboratore Giovanni Mola, detto o’ musicante. Nonostante i domiciliari e le discariche sotto sequestro, non si fermavano le attività di Chianese. Dalle dichiarazioni emergeva “che negli anni 2007-2008 il predetto (Chanese, ndr) ha continuato a svolgere il traffico di rifiuti presso le discariche sottoposte a misura reale, mantenendo legami criminogeni con personaggi di rilievo del clan dei Casalesi”. E al nord aveva stretto rapporti con Franco Caccaro. Chianese, nel 2005, aveva versato, per mezzo di due assegni, la somma di 3 milioni di euro a Caccaro, con il quale intratteneva rapporti commerciali dal 1996. Caccaro che non ha saputo giustificare le movimentazioni in suo favore, da allora ha allargato il suo business. La sua T.p.a è diventata leader nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti, con oltre 200 dipendenti, con sedi operative anche a New York. Caccaro, già condannato per lesioni personali colpose e indagato dalla procura di Padova per emissioni di fatture per operazioni inesistenti, si è reso protagonista di un ulteriore episodio. Con le sue società, l’imprenditore veneto ha fatto un’offerta all’amministratore giudiziario dei beni sotto sequestro e poi confiscati di Chianese per l’acquisto di due autovetture Ferrari, “evidentemente allo scopo – si legge nel decreto – di farne rientrare in possesso fraudolentemente lo stesso Cipriano Chianese”. Da questo episodio prende il nome l’operazione eseguita oggi, ribattezzata ‘Ferrari come back’.

Le auto di grossa cilindatra sono da sempre una passione dell’avvocato Chianese, anche per questo gli uomini del clan lo ammiravano. In fondo con i rifiuti, raccontano i pentiti, guadagnava negli anni ’90, anche 700 milioni al mese. Lo ricorda il collaboratore Raffaele Ferrara: “Chianese ne cambiava una al mese. Spesso mi recavo da lui per vedere le sue automobili (Mercedes, Ferrari, Bmw). Una volta addirittura comprò un autobus con il quale voleva portare in gita amici e parenti”. E ora quattro auto sono finite sotto sequestro. Sono passati 18 anni dalla prima inchiesta e l’avvocato imprenditore fa ancora parlare di sé.

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