Un uso ”ponderato e ripetuto della forza che sfocia in “livelli di battaglia”, una serie di fatti destinati a creare un allarme sociale proporzionale all’escalation di episodi. Ha scritto così il Gip di Bologna Andrea Scarpa nell’ordinanza di custodia che ha portato in manette stamani cinque anarco-insurrezionalisti appartenenti al circolo Fuoriluogo per associazione per delinquere finalizzata all’eversione dell’ordine democratico (articolo 1 legge 15 del 1980). Un sesto anarchico del gruppo è stato invece messo in stato di fermo per l’attentato del 29 marzo alla sede Eni di via San Donato, compiuto con tre ordigni incendiari.

Nel corso dell’operazione condotta da Ucigos, Procura e Digos di Bologna e ribattezzata “Outlaw” e che ha visto una sessantina di perquisizioni un po’ in tutta Italia, per altri quattro è scattato l’obbligo di dimora nelle località di residenza e per altri tre ancora il divieto di dimora a Bologna. Molti dei destinatari delle misure cautelari hanno già avuto guai nel passato recente per la loro attività violenta. In totale gli indagati sono 27. Le perquisizioni hanno riguardato anche chi era in contatto con il circolo bolognese.

Su ordinanza di custodia cautelare richiesta dal Pm Morena Plazzi, che ha condotto l’indagine partita nel 2006, e firmata dal Gip sono stati arrestati: Stefania Carolei, 55 anni, bolognese; Nicusor Roman, 31, romeno abitante a Bologna; Anna Maria Pistolesi, 36, bolognese; Martino Trevisan, 25, di Bressanone (Bolzano); Roberti Ferro, 25, di Bolzano. Per l’accusa avrebbero promosso, organizzato e diretto una organizzazione che si ritrovava al centro “Fuoriluogo” (i cui locali sono sotto sequestro penale) di Bologna finalizzata al compimento di violenze, lesioni, danneggiamenti, manifestazioni non organizzate, e con carattere eversivo. Uno stillicidio di episodi che parte dal 2006 con la nascita del Fuoriluogo.

Il fermato per l’attentato all’Eni è il ferrarese Francesco Magnani, 23 anni. Il fermo nei suoi confronti, deciso dal Pm Luca Tampieri, che si occupa dello specifico episodio, è per l’ipotesi di atto di terrorismo in concorso con altre persone da identificare e detenzione e porto di materiale esplodente. A suo carico c’è soprattutto l’intercettazione di una telefonata fatta dall’ufficio del padre con una delle destinatarie dei provvedimenti di obbligo di dimora in cui – da quanto è emerso – cercava di spiegare, parlando in codice, la sua intenzione di fare l’azione contro l’Eni (‘una festa, più grossa del previsto). Ma l’interlocutrice non capiva e così si è lasciato andare facendo riferimento ad un attentato incendiario avvenuto in passato ai danni dell’Unicredit e a quanto stava succedendo in Libia. Questo è avvenuto malgrado avessero fatto del sospetto una regola di vita, e per parlare tra di loro cercavano sempre posti appartati.

L’indagine ha ripercorso, appunto, episodi che partono dal 2006 e arrivano fino al 2009 e con appendici al 2010.

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