È una lotta che va avanti da anni quella che il Comune di Bologna porta avanti contro i writer. Dalla giunta di Sergio Cofferati, ai pochi mesi da sindaco di Flavio Delbono. Ed anche il commissario Anna Maria Cancellieri sembra non voler scherzare.

Da tempo infatti è attiva una squadra speciale anti-graffiti, chiamata Pandora. Numerose le fotografie, i rilievi fatti da agenti in borghese, i sopralluoghi di 300 vigili di quartiere, supportati dai filmati delle telecamere di sorveglianza. Elementi inseriti in un fascicolo aperto dalla Procura.

Fino ad oggi sono state schedate più di 11 mila tag, le firme che i writer fanno sui muri. L’idea è quella di creare un archivio delle firme dei graffitari e provare a colpirli. Il nuovo regolamento di polizia urbana prevede, infatti, sanzioni fino a 500 euro per chi imbratta palazzi storici con l’obbligo di ripulire i muri e la denuncia per danneggiamento. Colpirne uno sarebbe “un caso esemplare” dichiara la Cancellieri, che può contribuire a far smettere gli altri.

Ma a sentire i diretti interessati la percezione di questa guerra è ben diversa. E anche l’idea che dietro ci sia una sorta di organizzazione di graffitari in contatto fra di loro fa ridere i ragazzi. Siamo riusciti a contattare due writer, S. e M., che da anni fanno parte di crew (gruppi) a Bologna.

“Ho visto gli articoli di questi giorni sui giornali – dichiara S. -, ma a un certo punto ho preferito non continuare la lettura. Le scritte sui muri ci sono da anni, le vedo da quando sono nato. E c’è chi li pulisce, fa parte del gioco”. Per M. “questa lotta è ridicola; ci sono problemi più importanti e gravi. Le tag e i disegni si esprimono visivamente e sono sotto gli occhi di tutti, motivo per cui si presta tanta attenzione al problema e si fa campagna elettorale”.

“Mi arrabbio – continua S. – quando sento dire che chi scrive sui muri lo fa perché ha dei problemi familiari o sociali. I graffiti possono essere fatti da tutti, non c’è una scuola. Non so se sia giusto o meno, per la legge sicuramente non lo è, ma non mi sembra di fare una cosa malvagia, quando lo faccio non ci penso, eticamente non lo sento”. Secondo il writer si tratta di una controcultura, innata nelle persone. “Ci sono ragazzi che vanno contro. Se nessuno scrivesse sui muri mi sembrerebbe strano. Ci sarebbe un’omologazione”. E scrivere sui monumenti? “Quella è una stupidaggine, ma purtroppo c’è chi lo fa. Io inoltre quando vedo un muro pulito non faccio scritte. È comunque una cosa controversa fare il writer – ammette -, ci penso spesso”.

Anche M. è contro le scritte su monumenti o sui palazzi storici, “c’è gente che comunque se ne disinteressa, magari in una serata in cui scorre tanto alcool e non si è lucidissimi. Il 90 per cento dei palazzi storici, poi, sono pieni di messaggi politici, che devono arrivare agli studenti, una sorta di bacheca, ma questo non c’entra nulla con i graffiti. Il senso di tutto ciò – continua – c’è e non c’è, è una cosa soggettiva, di sicuro irrazionale”.

Tra le tante soluzioni pensate nelle città c’è anche quella di concedere degli spazi aditi a disegni e tag, molto spesso in periferia o nelle grigie zone industriali. Ma a sentire i ragazzi non è questa la soluzione. Per S. “gli spazi dati in periferia sarebbero positivi, ma farei comunque tag nel centro, ha un altro valore, piace. La bellezza di quello che facciamo si capisce solo fra i writer, chi ne è fuori non riesce a cogliere subito il senso. Più che investire sforzi – dichiara M. – e soldi per rintracciarci, basterebbe ripulire più velocemente certi posti. Il muro con una tag, infatti, attira di più rispetto a quello pulito. Inoltre questa attenzione mediatica stimola alcune persone a disegnare ancora di più, per apparire il giorno dopo sui giornali”.

“Io non so se sia giusto o meno – continua -. È un mio modo di espressione, che ti avvolge 24 ore su 24. Non faccio male a nessuno, credo di portare qualcosa in più in certe situazioni. Si tratta di un linguaggio autoreferenziale, che può essere apprezzato fra noi writer; non è solo voglia di trasgredire.

Ma una soluzione c’è?  “No, non c’è. La Cancellieri con questa guerra può fare un po’ più paura, ma noi andiamo avanti, anche se ci dovessero fermare una o due volte, non per ripicca, ma perché lo facciamo da sempre”, dichiara S.

E anche M. è sulla stessa linea di pensiero: “I graffiti ci sono dagli anni 70 e Bologna è un luogo importante, come Milano o Roma, una sorta di capitale. Ha una sua storia, una sua evoluzione, non è una moda nata l’estate scorsa. Possono darci anche quartieri da disegnare, ma non si risolve così. È un problema che semplicemente non puoi risolvere. Si fa stare in silenzio un writer, ma l’altro è già pronto ad agire”.

Per M. “potrebbe anche esserci un dialogo”, ma sarebbe infruttuoso. “È una subcultura, non è controllabile. Così si crea una cappa di odio, sembra sia solo questo il problema. Ma è una caccia al nulla, soldi buttati. Si è arrivati al limite? E allora si può pulire qualche muro in più”.

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