“Molti in Europa vorrebbero che l’Irlanda garantisse ciascun creditore delle sue banche, compresi i senior bondholders (i titolari delle obbligazioni maggiormente garantite, ndr) e tutti gli altri. La realtà è che se la garanzia danneggia la solvibilità dello Stato allora lo Stato non può accettare questa richiesta”. Simon Coveney, ministro dell’agricoltura di Dublino non avrebbe potuto essere più chiaro. Ancora non sappiamo quale forma assumerà la famosa “soluzione definitiva” allo studio del governo ma una cosa appare sempre più probabile: a pagare non saranno solo i contribuenti. L’Irlanda, ha fatto intendere il ministro in un’intervista alla televisione pubblica ripresa da Bloomberg, non vuole rinunciare al sacro principio della condivisione delle perdite. Tradotto: la ristrutturazione degli istituti imporrà ai creditori di incassare meno del dovuto. Prendere o lasciare.

Gira e rigira si tratta di default tecnico. Nessuno lo ammette esplicitamente ma il concetto è chiaro. Lo Stato non è in grado di farsi carico delle pendenze private. Può farlo solo parzialmente, e tanto dovrà bastare. D’altra parte le cifre non mentono, come ben sanno i funzionari della Bce impegnati in questi giorni a studiare l’ultima versione del piano “salva Dublino” nell’irrinunciabile tentativo di tamponare una crisi debitoria continentale di cui, ad oggi, non si vede la fine. Le sei grandi banche irlandesi sono coperte da 150 miliardi di euro di finanziamenti, 70 vengono dalla banca centrale nazionale, il resto dalla Bce. Tra tre giorni i risultati degli stress test riveleranno la misura aggiornata dei nuovi investimenti. Secondo quanto trapelato sulla stampa locale, gli istituti dovrebbero aver bisogno di altri 20 miliardi di euro di ricapitalizzazione. Secondo le stime di Bloomberg la cifra dovrebbe invece essere corretta al rialzo toccando quota 28 miliardi. Le banche europee sono esposte complessivamente sull’Irlanda per 650 miliardi di dollari. Gli istituti di Gran Bretagna e Germania compensano da soli i 2/3 della cifra.

Comunque sia, ed è questo l’unico aspetto positivo della questione, la nuova manovra potrà realizzarsi entro i limiti di disponibilità del sostegno congiunto Ue-Fondo monetario internazionale valevole, da solo, 35 miliardi. Ma le prospettive, per ora, non sono buone e le banche, ormai pienamente dipendenti dall’aiuto esterno, rischiano di trascinare il Paese nel baratro. Secondo l’ultima rilevazione di Cma, datata gennaio, il costo di assicurazione dei crediti vantati nei confronti di Dublino (aumentato di 2,3 volte da luglio) è il terzo più alto del mondo. L’Irlanda, guarda caso, è anche il terzo Paese a maggior rischio fallimento del pianeta.

La situazione, insomma, è grave ed è impossibile pensare a una via d’uscita che non sia dolorosa. Il principio della condivisione delle perdite, è noto, spaventa molto la Bce e non è un caso che l’Europa vi si opponga da sempre. Il timore è che gli investitori scottati da Dublino decidano di rivalersi sul resto del Continente imponendo tassi più alti sui prestiti. Come dire che a pagare il gap sulle obbligazioni irlandesi saranno, in primis, gli istituti portoghesi e spagnoli, vittime designate di un processo di scaricabarile che rischia di far esplodere definitivamente la crisi del debito. Una prospettiva tremenda. Niente affatto da escludere.

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