Io mi schiero con Roberto Saviano, se mai ce ne fosse bisogno. Sento di volerlo dire con forza direttamente proporzionale al suo successo e alle critiche che porta. Il Belpaese, dobbiamo dircelo senza troppi giri di parole, colpevolizza il successo e le sue derivazioni (popolarità, denaro, esposizione mediatica) in un mix di invidia e frustrazione. Sia chiaro, Saviano attrae sempre e solo critiche personali, come da tradizione italica. Mai nessuno che lo contesti come scrittore. Chi critica la sua tenuta televisiva dimentica che stiamo parlando di uno scrittore lanciato davanti a una telecamera che lo ha messo in connessione con 9, 10 milioni di persone (voi avreste saputo far di meglio?) o ignora la portata, perché no, storica, di Vieni via con me, visti i tempi che corrono. Ed è proprio questo il “problema”: Saviano sta partecipando, da protagonista, a un piccolo pezzo di storia dell’Italia.

So di non essere il primo a prendere posizione sull’argomento, ma ho sentito il bisogno di scrivere questo post dopo aver letto i commenti che un segmento per fortuna minoritario dell’opinione pubblica della mia città, Bari, ha tributato a Saviano dopo la presentazione del suo nuovo libro. L’isolato che ospita la libreria Feltrinelli è stato chiuso al traffico e alle due estremità c’era un gruppo molto nutrito di poliziotti. Immagino che questo format surreale si sia ripetuto, sempre uguale, in tutte le città. All’interno di questa arena artificiale c’era l’Italia, in tutta la sua eterogenea umanità. Grandi e piccoli, persone colte e persone semplici, uomini e donne, di destra e di sinistra. In tempi di centocinquantesimo e di leghismi di riflusso, guardo sempre con emozione a questo genere di aggregazioni spontanee. Basterebbe questa riflessione per essere grati a Saviano.

Ma andiamo oltre, anzi, torniamo ai critici. Gli argomenti sono sempre gli stessi: Saviano non sa cosa sia l’antimafia; Saviano fa i sermoni; non mi piace che Saviano mi faccia le lezioni di moralità; Saviano ha il padre indagato; Saviano rimanesse a Napoli se vuole combattere la camorra; la smettesse di rompere le scatole sul fatto che è in isolamento, perché nessuno l’ha costretto a scrivere Gomorra; ha scritto quel libro, ora è ricco, se l’è cercata ad avere contro la malavita; Saviano parlasse solo di camorra, com’è ‘sta storia che ora pontifica su tutto?

Saviano non fa l’antimafia militante solo perché è uno scrittore. Il fatto che abbia parlato di antimafia nobilita chi la fa ogni giorno, non lo porta a entrare in competizione con loro. Se uno fa bene il proprio mestiere credo che bisognerebbe fargli un applauso, non chiedergli di fare tutto (anche perché se provi a fare tutto, poi ti massacrano ugualmente).

Saviano racconta storie: se vi sentite chiamati in causa, fa bene a raccontarle. Vuol dire che vi emoziona, nel bene o nel male.

Saviano ha il padre indagato per truffa: sì, ma ai danni di suo figlio.

Saviano vorrebbe rimanere a Napoli: voi vivreste sereni nella città dove avete ricevuto minacce di morte?

Nessuno lo ha costretto a scrivere Gomorra, è vero: ma perché ci scandalizza il fatto che abbia scritto quel libro e non il fatto che oramai siamo un Paese non del tutto libero, per cui se ti metti contro la malavita devi per forza vivere con la scorta, e accettiamo questo stato di cose senza fiatare?

Saviano è ricco perché ha scritto un libro che ha venduto due milioni di copie, come è giusto che sia (sono contento che abbia mollato Mondadori, tra l’altro). Il successo è una colpa? E poi, le persone ricche possono automaticamente rinunciare alla loro libertà? La libertà ha un valore economico, dunque? Se la pensate così, vuol dire che siete già immersi nel berlusconismo, che vi piaccia o no.

Per chiudere ho tenuto la critica più assurda: Saviano deve parlare solo di un argomento. Fate mente locale: nel mondo, oggi come ieri, ricordate intellettuali monotematici? Gente che parlava all’opinione pubblica di un solo argomento e che non ha il diritto e la libertà di dire la propria o di provare a ragionare su terreni non prossimali?

Il punto è questo: Roberto Saviano è un intellettuale, più che uno scrittore. La parola “intellettuale”, negli ultimi venti anni, è stata risemantizzata: va spesso con l’espressione “di sinistra” e ha acquisito un’accezione negativa. L’atteggiamento quasi reazionario nei suoi confronti si spiega anche così. Saviano è però un intellettuale nel senso originario e puro del termine. La sua vera colpa è che non ha concorrenti. È l’unico in Italia, oggi, ad avere questa capacità di parlare agli italiani. Per questo, ci aggrappiamo a lui come fosse un Messia (ah già, altra critica classica). Si aggrappano i politici, si aggrappano i lettori, si aggrappano i più giovani. Quando uno muore di sete, beve la prima cosa che capita.

Bene, caro detrattore di Saviano che mi stai leggendo e stai per scrivere un commento acidissimo, io ho sete di intellettuali, di gente che prenda posizione (non necessariamente la mia), di gente coerente, di gente che rischia la vita e perde la libertà per poter dire ciò che pensa. Se contestualmente diventa famoso, o ricco, non mi importa. L’importante è che mi faccia pensare, faccia pensare tutti. L’importante è fare del bene al prossimo.

Sennò, che si vive a fare.

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