Mentre si innalzano le fiamme degli incendi divampati in buona parte del Maghreb fino all’Egitto, promettendo di estendersi nel mondo arabo a est e sud, sorge immediata la domanda: dalla parte di chi stare? A favore di chi schierarsi, per un democratico liberale e repubblicano dell’Occidente?

Certo, è più facile rispondere dove non farlo. Di sicuro non con gli autocrati ladroni alla Mubarak o i dittatori macellai del proprio stesso popolo tipo Gheddafi (ma attenzione al suo omologo yemenita, l’energumeno Saleh). Ovviamente neppure con gli Stati repressivi della regione, in cui il controllo poliziesco dei corpi e/o la manipolazione fanatizzante delle menti da parte di un clero non meno occhiuto tengono in ostaggio gli uomini e (ancora di più) le donne; i cui assetti sono ora minacciati come non mai in passato dalle insorgenze movimentiste in atto.

A questo punto – per democratici di cultura occidentale – parrebbe ovvio rivolgersi verso il proprio mondo, a Occidente. Ma anche questa scelta è resa impossibile dallo spettacolo di cinismo opportunista che la politica del nostro campo ha saputo allestire, praticando alla grande la regola teorizzata in piccolo dall’antico segretario di stato Usa John Foster Dulles nei riguardi del cacicco caraibico Papà Doc Duvalier: “Sì, è un porco ma è il mio porco. Il cui epigono Tony Blair, ancora pochi giorni prima della fuga di Mubarak, intervistato da un giornalista di Sky quale inviato speciale nel Medio Oriente ricordava “gli utili servigi” resi dal Presidente Egiziano.

Insomma, il campo occidentale non è assolutamente credibile quando innalza lo stendardo di Libertà e Democrazia dopo averle barattate per decenni e decenni con priorità ignobili, per cui si puntellavano personaggi inguardabili al solo scopo del mantenimento di equilibri e affarismi reputati vantaggiosi. Orrori umani, scelti come interlocutori privilegiati, che ora si vorrebbero cancellare per meglio tutelare tali equilibri&affarismi. Atteggiamento palese nell’umanitarista democratico improvvisato Sarkozy, ma riconoscibile persino nell’attendismo cronico di Obama. Di Silvio Berlusconi, l’amico e sodale del peggio del peggio per vocazione e naturale inclinazione, non vale neppure la pena di parlare. E carità di Patria invita a stendere pietosi veli sul nostro Paese, insigne patria di contorsionisti e saltimbanchi, fino a ieri alleato incrollabile dei libici e ora piattaforma per i voli dei bombardieri che sganciano ordigni sugli obiettivi libici.

E allora? Alla domanda iniziale ci può stare solo la risposta che – in ben altro contesto – diede un grande liberaldemocratico quale John Maynard Keynes: “Stare dalla parte della borghesia colta”. Ossia, attualizzando il soggetto dell’affinità keynesiana, quei giovani acculturati e internet-alfabetizzati di Tunisia ed Egitto (tralasciamo la Libia in larga misura ancora tribale, anche grazie al suo rais) che hanno brandito la comunicazione e le reti virtuali hi-tech come una straordinaria leva per scardinare il dominio dell’oscurantismo e dell’accaparramento per spoliazione. I blogger che hanno fatto controinformazione per i milioni di navigatori del web, mostrando innanzi tutto a se stessi la decrepitezza delle proprie società e – al tempo stesso – elevando una formidabile barriera contro la penetrazione di arcaismi di ritorno quali il fondamentalismo o il terrorismo. Nonostante le campagne di immediata disinformazione, all’inizio della fase movimentista tunisina ed egiziana, volessero farcelo credere, presentando i moti come un preoccupante cavallo di troia del fanatismo antioccidentale.

Invece l’opera sanamente destabilizzante – si può dire illuministica?- di un cambiamento che ha incontrato il proprio medium diffusivo nei social forum (come il telegrafo per il 1848 o la televisione nel Sessantotto) sta dilagando nelle giovani società del Medio Oriente; creando qualche plausibile speranza per un futuro in cui neocrociati e nuovi mamelucchi siano definitivamente rispediti nei loro antichi sacelli. Magari smascherandone la natura ridicola, oltre che inquietante e barbara.

Questo sembra essere il vero significato della “rivoluzione dei blogger” cairota, in sequenza con quella “dei gelsomini” tunisina, dove la tecnologia occidentale si mette al servizio del riscatto orientale. Sicché il volpino intervento del nostro vecchio mondo, avvolto nelle ipocrisie terminologiche della “no-fly zone” o delle “guerre umanitarie”, può perfino trovarci consenzienti. Se – per l’eterna eterogenesi dei fini – consente al polline della libertà, portato dal vento dell’informazione massmediatica, di espandersi con i suoi effetti fecondi sempre di più in quella che sino a ieri risultava la zona del pianeta a più alto rischio di deflagrazione dell’irrazionalità distruttiva.

All’insegna di quei capisaldi sempreverdi che Bertrand Russell chiamava “la saggezza dell’Occidente”.

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