Il papa ha scritto al presidente della Repubblica in occasione dell’Unità d’Italia che è disertata dai Leghisti che, come si sa, quanto ad ignoranza non sono secondi a nessuno. Pensate che in Lombardia la scelta è stata fatta da Bossi Trota che dall’alto della sua esperienza e cultura si stacca dall’Italia e dall’inno nazionale per trovare la sua identità cioè il nulla.

In compenso il papa dice che il merito se l’Italia è una nazione lo si deve alla religione cattolica che ha creato, bla bla, bla bla. Sarà! Sta di fatto che Pio IX scomunicò Vittorio Emanuele II e Cavour e tutti gli altri implicati nella fine temporale del papato.  Il contributo della religione cattolica all’unità d’Italia fu tale che il 30 gennaio 1868 Pio IX impose ai cattolici il «non expedit», cioè la proibizione di partecipare alla vita politica della nazione nascente. Il divieto di fatto cessò con Pio X nel 1913 con il «patto Gentiloni», ma ufficialmente fu abrogata da un papa genovese, Benedetto XV, solo nel 1919. Per 51 anni i cattolici furono per imposizione vaticana assenti dalla vita politica; per 20 anni almeno la gerarchia cattolica fornicò con il duce e il fascismo. La somma fa 71 anni, cioè metà quasi di 150 anni. Mi chiedo se in Vaticano sanno fare di conto.

Credo che la celebrazione dell’Unità d’Italia sia «un obbligo» per tutti noi, per contrastare questo gevernicchio fascista/leghista, ma credo anche che la maggioranza degli Italiani non abbia di che celebrare: precariato, disoccupazione, scuola, sanità, ricerca, servizi sociali… tutte medaglie che questo governo appende alla bandiera come primato senza precedenti nella storia dell’unità d’Italia. Un solo modo ci sarebbe per celebrare degnamente: dare il benservito al governo del disonore e della vergogna, al governo della distruzione dell’unità fittizia d’Italia, se è vero che il Paese è diviso in due dall’ingordigia dei ricchi e dei mafiosi amici e sodali del governo e del suo presidente del Consiglio.

Un altro motivo per celebrare l’unità di Italia sarebbe sentire il Presidente della repubblica che il giorno 17 marzo nella più importante manifestazione ai microfoni dica all’Italia e al mondo: «Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, lei e i suoi ministri avete giurato fedeltà alla Repubblica sulla Costituzione e avendo dietro la bandiera nazionale. Poiché una componente del suo governo ha disertato proditoriamente al giuramento, il suo governo decade per spergiuro e per attentato alla Nazione, per cui io sciolgo le camere. Poiché lei è responsabile della politica e di questi eventi comici e tragici insieme, io garante dell’unità nazionale, le revoco la medaglia a cavaliere “per indegnità” politica. Poiché lei è anche imputato in quattro processi e ha fatto leggi e leggine per salvarsi attaccando uno dei pilastri dello Stato di Diritto, la Magistratura, le revoco la medaglia “per indegnità morale e civile”. Un presidente del consiglio non può essere imputato di induzione alla prostituzione minorile e continuare a governare come se niente fosse. E’ una vergogna per l’Italia e per il mondo che guarda e ride».

Forse è stata sbagliata la data della celebrazione. A mio parere era più consono scegliere la data dell’11 febbraio, anniversario dei Patti Lateranensi. Con quella data è cominciata la lenta e inesorabile annessione dell’Italia allo Stato Città del Vaticano che oggi ha esteso i suoi tentacoli anche sul Parlamento, sul governo, sull’economia, sull’esercito, sulla scuola e sulla sanità. Celebriamo insieme giulivi e cantando l’annessione dell’Italia al Vaticano: è finito il potere temporale materiale nello stesso momento in cui è cominciato il dominio clericale sullo Stato e sulla Nazione italiana. Con buona pace di chi sogna uno Stato Laico.

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