Nell’ennesimo caso di gravissimo malcostume rappresentato dalla casa del pargolo dei Moratti a Milano non c’è nessuno scandalo. Purtroppo. I piani regolatori e i vincoli paesaggistici hanno rappresentato per quasi cinquant’anni di vita repubblicana un nobile compromesso tra la classe dirigente e proprietaria e i cittadini. A partire dal 1992 – nel pieno trionfo di Tangentopoli, prima che emergesse l’inchiesta di Mani pulite – le regole urbanistiche sono state cancellate una dopo l’altra e oggi la grande proprietà immobiliare non incontra nessun ostacolo nel raggiungere qualsiasi obiettivo. Con una impressionante lucidità entrambi gli schieramenti politici hanno teorizzato che il “mercato” fosse più importante delle regole e le città sono state lasciate in mano a legioni di devoti di Batman.

Vediamo le due più gravi forzature di cui viene accusato Moratti. La prima è quella di aver cambiato la destinazione d’uso di una vecchia fabbrica per realizzarci un’abitazione con annesso ponte levatoio. E quale problema è mai? Tutti i cosiddetti “piani casa” approvati dal 2009 da tutte (tutte) le Regioni italiane a prescindere dal loro colore politico consentono che si possano trasformare gli edifici industriali in abitazioni, a prescindere dalla loro localizzazione e cioè se siano più o meno adatti a realizzare un ambiente urbano gradevole e civile.

Del resto con una delle “lenzuolate” che dovevano aprire l’Italia alla modernità si può agevolmente fare anche il contrario. Da una abitazione si può ricavare ad esempio un bed & breakfast. Tutto bene per carità, ma sarebbe stato meglio, come fanno in Europa, condizionare l’apertura di nuove attività dopo aver verificato l’esistenza di parcheggi pubblici. Del resto esiste ancora una fondamentale legge dello Stato (il decreto sugli standard urbanistici del 1968) che consentiva di porre un argine a ogni pretesa. Obbligava infatti il proprietario a dover realizzare il verde e i servizi pubblici, e cioè quel minimo di decoro e civiltà che tutte le città d’Europa conoscono. Ebbene, prima la regione Lombardia e poi il Lazio guidato dal Piero Marrazzo, consentono di poter aggirare questa norma: in cambio delle aree pubbliche il proprietario può infatti pagare una modesta somma di danaro (si chiama monetizzazione). Soldi in cambio del diritto collettivo ad una città vivibile.

La seconda forzatura riguarda il fatto che quattro edifici preesistenti sono stati riunificati in un’unica abitazione mentre prima erano divisi. Anche in questo caso che problema c’è? Con una semplice denuncia di attività edilizia si possono prevedere opere edilizie per poi avere titolo di presentare agli uffici del catasto tutte le variazioni che si vogliono, anche la riunificazione di immobili originariamente divisi. L’incultura dominante ha portato di recente a permettere di fare molte opere edilizie con una procedura (la cosiddetta Scia) ancora più semplificata della precedente, già fin troppo semplice: le amministrazioni pubbliche sono state poste in condizione di non poter intervenire.

La gravità della casa-Batman del giovane rampollo non sta dunque nella violazione delle norme di legge. La questione è ben più grave: unico paese tra quelli ad economia di mercato, l’Italia ha cancellato ogni regola e le città sono state lasciate in balia di ogni speculazione. Da terreni destinati ad agricoltura si possono realizzare con “accordo di programma” ipermercati o grandi strutture commerciali. Da edifici industriali si possono realizzare abitazioni anche se sono localizzate in mezzo a svincoli autostradali o in luoghi privi di servizi. Su aree sottoposte a vincolo paesaggistico – chi non ricorda la vicenda del Salaria Sport Village della “cricca”? – si può costruire ciò che si vuole.

Se vogliamo dunque diventare un paese che rispetta la legalità, il problema che abbiamo di fronte è quello di ricostruire il rispetto del bene comune rappresentato dalle città. E’ la sfida più affascinante per delineare un futuro migliore per le giovani generazioni. Potremmo infatti contrapporre una visione di città ordinate basate su sistemi di trasporto non inquinanti a chi persegue solo il proprio interesse economico. La cancellazione delle regole voluta da un sistema politico incapace di pensare il futuro ha aperto il recinto ad una “classe dirigente” che esibisce una cultura di rapina fatta di prepotenze e di mobili in pelli di squalo. Esiste un’altra cultura che pensa invece a città vivibili e solidali. Ricostruire le regole urbanistiche permetterebbe la sua affermazione.

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