Proseguiamo questo viaggio nella poesia che si confronta con la storia, quella personale che incontra i grandi accadimenti, la cosiddetta Storia scritta con la maiuscola, e naturalmente con i suoi orrori, le sue ingiustizie, i suoi tradimenti. Solo gli scrittori e i poeti possono raccontare ciò che viene espulso dalla storia, ciò che viene tenuto ai margini, il “mondo muto”, e il quotidiano, le vicende personali e dolorose che sono il cuore del nostro esistere.

Vogliamo raccontarvi, con una sua poesia, l’infanzia della grande poetessa spagnola Francisca Aguirre. Paca (così chiamata dagli amici) è figlia di Lorenzo Aguirre, pittore spagnolo, ucciso da Franco, con la garrota, il 6 ottobre 1942, con l’accusa di “auxilio a la rebelión”. In questa poesia la Aguirre racconta la sua dolorosa infanzia sotto il regime franchista, ma anche la fortuna di avere una madre straordinaria e il conforto della cultura. Una poesia struggente e meravigliosa.

L’ultimo dei Mohicani (El último Mohicano)
di Francisca Aguirre

A mia madre

Non ebbi nulla e, tuttavia, in qualche modo,
capisco che ebbi tutto.
Non avevamo nulla, nulla
salvo la paura, il dolore,
lo stupore che produce la morte.

Quando uccisero mio padre
restammo in quella zona di vuoto
che va dalla vita alla morte,
in quell’ultima bolla che lanciano gli annegati,
come se tutta l’aria del mondo si fosse esaurita di colpo.
Restammo lì,
come pesci in una vasca senza acqua,
come gli attoniti visitatori di un pianeta vuoto.

Non avevamo nulla,
anche se è altrettanto certo che nulla volevamo.
Ricordo bene che a mia sorella Susy e a me
diedero la notizia nella stanza da bagno
di quel collegio per figlie di prigionieri politici.
C’era uno specchio enorme
e io vidi la parola morte crescere in quello specchio
fino ad uscirne
e trasferirsi negli occhi di mia sorella
come un vapore letale e pestilente.
Nulla è riuscito a farmi dimenticare quegli occhi,
tranne qualche ora di amore
in cui Felix ed io eravamo due orfani,
e il volto prodigioso di mia figlia.
E nulla di più avemmo
per molto tempo.
Ma mamma ebbe meno di tutti.
Mamma restò come uno specchio senza mercurio.
Perse tutto
tranne un filo sottile che la legava a noi,
e attraverso quel ponte inconcepibile
– come tre formichine –
andavamo e tornavamo dalla sua statua di vetro
rendendole il mercurio.
Tornò a noi dal paese del gelo
e tornò tanto assolutamente
che grazie a lei, noi, che nulla avevamo
avemmo tutto.
Mamma fu la nostra Enciclopedia,
fu il nostro Guerriero Mascherato,
il Paese delle Fate,
l’abbondanza nella miseria,
il nostro miglior amico,
lo scudo contro i mori,
l’amante delle belle arti,
colei che fece sì che papà non morisse,
che lo resuscitava in ogni suo quadro.
Fu mamma a dirci che mio padre ammirava i greci,
che adorava i libri,
che non poteva vivere senza la musica
e che fu amico di Unamuno.

Certo che non avemmo nulla,
che molte volte ci mancava tutto.
Ma anche se qualche giorno non mangiammo,
avevamo una radio per ascoltare Beethoven,
e il giorno della Befana del millenovecentoquarantaquattro
mamma e gli zii andarono al mercato delle pulci:
ci comprarono tre libri:
La collina incantata, Nomadi del Nord
e L’ultimo dei Mohicani.
Dio sa quante volte avrò letto quei libri.
Mamma ci portò L’ultimo dei Mohicani
e tenendo per mano quell’indio solitario
entrammo nel mondo del meraviglioso
e avemmo tutto per sempre.

E nessuno ce lo potrà togliere.

Traduzione di Raffaella Marzano

Leggi e ascolta anche la versione originale
La registrazione è stata realizzata a Sarajevo nel 2004. Con Francisca Aguirre, Luca Collazzoni (sax), Luca Colussi (Batteria e percussioni), Riccardo Morpurgo (pianoforte), Almir Nezić (basso).

Biografia di Francisca Aguirre

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