La coincidenza di date è di quelle che spingerebbero chiunque altro a pensare alle dimissioni preventive: l’ultimo sabato di aprile, a Trieste, ci sarà l’assemblea degli azionisti delle Assicurazioni Generali. E proprio in quei giorni rischia di arrivare la sentenza che potrebbe condannare Cesare Geronzi agli otto anni chiesti dall’accusa nel processo per il crac della Cirio di Sergio Cragnotti.

Geronzi può presentarsi agli azionisti della compagnia, non soltanto a Diego Della Valle che gli sta facendo la guerra, ma anche ai piccoli soci da condannato o da condannando?A leggere la storia recentedell’ex banchiere 76enne la risposta sembra essere sì. Da banchiere, era stato sospeso per pochi mesi tra il 2006 e il 2007 da presidente di Capitalia dopo la condanna in primo grado per un altro processo, quello per il crac Italcase-Bagagliano (in appello fu poi assolto). Idem a Mediobanca, dove venne sospeso a fine 2006 (non era ancora il presidente) assieme a Roberto Colaninno per la stessa vicenda Italcase dopo che, pochi mesi prima, era stato interdetto per alcuni mesi dai giudici di Parma per il suo coinvolgimento in tronconi del caso Parmalat (Parmatoure Ciapazzi). Finita la sospensione, avanti come prima. Anzi, più di prima, visto che nel 2007 Geronzi è diventato anche presidente di Mediobanca.

Oggi, però, le cose sono un po’ diverse. Geronzi può contare su alcuni punti a suo favore: il ministero dello Sviluppo economico non ha mai ratificato il provvedimento che equipara banchieri e assicuratori dal punto di vista dell’onorabilità. Per cui Geronzi potrebbe essere costretto a lasciare solo in caso di condanna definitiva. Secondo punto a favore: negli anni si è costruito una rete di consenso che non si limita a Silvio berlusconi, ma si regge su nodi importanti come Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Anche Romano Prodi non è mai stato un avversario (anzi, ha benedetto la fusione tra la Capitalia geronziana e l’Unicredit di Alessandro Profumo, nel 2007).

Bisogna vedere se questi sponsor basteranno. In tanti leggono l’inchiesta di Napoli che ruota intorno al mediatore di affari Luigi Bisignani come una crepa che si sta aprendo nel blocco di potere che ha sostenuto Geronzi in questi anni. Si racconta che sia stato proprio Bisignani a presentare a Geronzi quello che sarebbe diventato uno dei suoi più stretti collaboratori, Luigi Vianello, che tiene i rapporti con i media. Poi c’è l’attacco generazionale di Della Valle che ha già costretto Geronzi a rompere il suo storico silenzio e a combattere a colpi di interviste e dichiarazioni (qualcuna di troppo, come quella al Financial Times in cui ha parlato di strategie delle Generali che non spetta a lui decidere).

I conoscitori del potere geronziano dicono che Della Valle ha scardinato un altro pilastro: Geronzi era maestro nel costruire un potere autoreferenziale. A Capitalia l’unico sopra Geronzi, il presidente del patto di sindacato Vittorio Ripa di Meana, era più un partner che un controllore, tanto che rappresentava Capitalia alle Generali. Adesso, invece, Della Valle costringe Geronzi a rispondere agli azionisti, a ragionare di business e non solo di potere. Anche se Della Valle, più che ai destini delle Generali, sembra interessato a imporsi, assieme agli altri sessantenni come Luca di Montezemolo che si giocano la loro ultima chance di arrivare al vertice. E quindi Della Valle potrebbe anche non infierire su Geronzi in caso di condanna se, in cambio, ottenesse qualcosa sul fronte dove l’affermazione sociale si misura in modo più evidente, cioè la Rcs e il Corriere della Sera.

Le Generali, in Borsa, erano in decisa crescita ieri mattina, come se gli investiori pregustassero l’uscita di Geronzi dopo le richieste di condanna dei pm. Ma poi il segno è cambiato e il titolo ha chiuso praticamente in pareggio(-0,19 per cento). Come se una spada di Damocle da 8 anni di carcere che pende sul presidente della compagnia non fosse poi così rilevante.

Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2011

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