«Un collegio di tre giudici donne? Sicuramente questo non è un vantaggio per Berlusconi». Lo ha detto Gaetano Pecorella, deputato del Pdl e avvocato: «Vedendo un milione di donne in piazza contro il presidente Berlusconi non credo che possa costituire un vantaggio un collegio di tre donne, anzi forse sarebbe davvero opportuno che il principio della parità in qualche misura possa essere rispettato anche nei tribunali. Ci sono reati, in particolare quelli sessuali – pensiamo a quello di violenza carnale – su cui le donne sono più attente e sensibili e anche più motivate per quel che riguarda la misura della pena. Quindi, un collegio di tre donne in un reato che riguarda una ipotetica minorenne e che riguarda atti che sono stati ritenuti violare la dignità delle donne è il peggio che si poteva pensare».

Qualcosa di simile si era già sentito, nel lontano 2003, a Padova: allora si era trattato del difensore di uno dei sette imputati denunciati per violenza carnale da una ragazza romena che, secondo l’ accusa, era stata portata in Italia per essere sfruttata come prostituta.

Secondo l’avvocato, un Tribunale composto di sole donne non poteva garantire la serenità necessaria a un processo equo e quindi si sarebbe dovuto provvedere: «Più che una questione in senso stretto è un invito frutto di una mia personale riflessione – aveva spiegato – Il procedimento per cui si discute, oltre che di infrazioni ad altre leggi, attiene agli articoli sulla violenza sessuale e sulla violenza sessuale di gruppo. Mi domando e domando al collegio se non sussistano ragioni gravi, in questo senso di convenienza, a fare in modo che nel collegio per questo tipo di reati faccia parte almeno un magistrato uomo. Io sollevo il problema al collegio, e chiedo se non sia il caso che vi sia un obbligo di astensione almeno da parte di uno dei componenti del corpo giudicante per fare in modo che a decidere su reati di questa gravità sia un collegio composto almeno da un uomo».

«Richiesta offensiva», l’aveva gelato il pubblico ministero, sempre una donna, la dottoressa Paola De Franceschi: figuriamoci se, sia i giudici che il pm, essendo donne, non potevano avere la pacatezza e l’imparzialità che sono condizioni imprescindibili in qualsiasi processo.

Per la cronaca, il caso costituì l’occasione per qualche articolo ironico sui giornali; il presidente del collegio giudicante, la dottoressa Marta Paccagnella, respinse  la richiesta e presentò un esposto all’Ordine degli avvocati.

Infatti, non si capisce perché, in Italia, dovremmo applicare a giudici togati, tenuti a motivare per iscritto le loro decisioni in base al codice e non in funzione di impressioni o idee personali, le cautele adottate negli Stati Uniti per selezionare una giuria popolare, che deve emettere solo un verdetto: colpevole o incolpevole, senza motivare. Sarà forse l’abitudine ai romanzi di Grisham?

Non ci vuol molto per prevedere che, in un paese sempre più “variegato”, troverebbero posto nei tribunali infiniti sospetti di parzialità, dovuti non solo al sesso, ma anche alla religione o all’etnia.

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