Non è dato sapere se il deputato Christopher Lee, per due volte eletto come rappresentante al Congresso di Washington in un collegio dello Stato di New York, sia – come vuole un antico modo di dire – nato con la camicia. Ma certo è che senza camicia è morto. Politicamente morto. Morto nel senso che, proprio ieri, dopo la comparsa d’una sua fotografia a torso nudo (galeotto fu Facebook, ancora una volta) ha immediatamente rinunciato, con una molto accorata lettera, al suo scranno di parlamentare. Dettaglio, quest’ultimo (quello delle dimissioni), di certo destinato a suscitare curiosità ed interesse ovunque, ma soprattutto in un Paese della vecchia Europa (ora non ne rammento con esattezza il nome, ma mi pare sia Berluscalia o Italonia), afflitto dalla presenza d’un premier che, sebbene ripetutamente sorpreso (e, pare, non in senso metaforico) senza mutande, non solo non si dimette, ma va con grande indignazione reclamando, al contrario, le dimissioni del Paese che lo ha eletto. O del poco di sano che di quel Paese resta. A cominciare, naturalmente, dalla sua magistratura.

La storia è questa. Gawker, un sito web dedito in prevalenza al pettegolezzo (o al “gossip” come, ormai dimentichi della propria lingua madre, usano dire i berluscaliani) ha pubblicato ieri una foto che il repubblicano Christopher Lee, 46 anni, eletto nel 26esimo Distretto di Western New York, aveva tempo fa diffuso in Rete, rispondendo al messaggio da una signora 34enne rimasta anonima pubblicato sulla Craiglist (una pionieristica appendice di Internet, prevalentemente dedicata ai piccoli commerci) in una speciale sezione chiamata “Women for men”, donne per uomini. La foto – nella quale Lee appare, per l’appunto, senza camicia, in un piuttosto goffo tentativo di gonfiare bicipiti e pettorali – non è, per la verità, niente di che. E niente di che è, anche, il breve scambio epistolare che a quell’immagine ha fatto, per così dire, da didascalia.

In sintesi. La signora in questione s’era chiesta, nel messaggio che ha originato l’epistolario, se esistesse, tra i frequentatori della Craiglist, un uomo che non fosse un rospo. E Lee, – che prima di diventare deputato faceva, ironia della sorte, proprio il fabbricante di camicie – le aveva, come s’è visto, risposto esponendo le proprie grazie con una certa immodestia, è vero, ma senza alcun eccesso. A meno, naturalmente, di non voler considerare “eccessivo” il fatto che, nel suo messaggio, Lee aveva barato sulla propria età e (molto relativamente) sulla propria professione, definendo se stesso un “lobbista di 39 anni”. “Sono certo – concludeva quella missiva destinata a diventare pietra dello scandalo – che non la deluderò”. La donna gli aveva risposto chiedendogli – moderatamente offesa – se fosse sua abitudine inviare a destra e a manca sue istantanee a torso nudo. Al che il buon Christopher aveva a sua volta replicato sostenendo (altra perdonabilissima menzogna) che quella foto era, in realtà, l’unica che aveva di se stesso. E tutto è, come si usa dire, morto lì. Niente (almeno per ora) relazioni extramatrimoniali, niente festini, niente minorenni, niente escort, niente bunga-bunga. Niente reati di sorta, niente processi per direttissima. Niente di niente. Niente, tranne, per l’appunto, quella foto a torso nudo.

Come quella foto sia arrivata a Gawker, non è chiarissimo. Chiaro invece – chiaro perché questo è quanto lo stesso Gawker scrive – è il canale (il solito Facebook) lungo il quale la foto è giunta a destinazione. Ed ancor più chiaro è il fatto che, appena poche ore dopo la comparsa della sua immagine “semi-desnuda”, Christopher Lee ha consegnato al nuovo Speaker della Camera dei rappresentanti , l’abbronzatissimo John Boehner, una lettera nella quale, annunciate le dimissioni, chiede perdono alla sua famiglia, al suo staff, ai suoi elettori ed a tutti coloro che hanno sofferto per il suo “terribile errore”.

Fine della storia. Una storia non bella, certo. La storia d’uno scandalo (o di qualcosa che, dello scandalo, ha, quantomeno, vaghe sembianze). Ma anche una storia che, come si conviene, ha un inizio, uno svolgimento ed una fine. E, nel caso, specifico una fine che, se non propriamente lieta, è sicuramente giusta. Qualcuno – debitamente rimboccate le coltri del “lettone di Putin” – dovrebbe rileggerla ogni sera, questa storia, al molto tenace premier di Berluscalia, un paese dove, al contrario, le storie – specie le storie di scandali – hanno il pregio (o il vizio) di non finire mai.

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