Quindi adesso viene spontaneo guardare con sospetto la bellezza. C’è questo sottile, ma prepotente, retropensiero per cui ogni bella ragazza che attraversa la visuale è potenzialmente una poco di buono, una disposta a venderla, la sua avvenenza, per ottenere qualcosa. Ha i capelli lunghi, le gambe affusolate, un bel seno, le ciglione e le unghie alla francese? Mhhh, attenzione, potrebbe essere una di quelle.
Ciò, se permettete, è un altro brutto servizio che facciamo alle donne italiane, perché se cominciamo a ragionare così, torniamo ai tempi in cui il semplice fatto di indossare una minigonna era considerato un’attenuante in un processo di stupro. E rischia anche di essere una rivisitazione del classico stereotipo della bella-scema, con un altro più pericoloso, la bella-puttana.

Mentre  la bellezza, fino a prova contraria, non è un disvalore, anche se questa storia delle ragazze di B. ha fatto di tutto per mettere in cattiva luce femminilità e fascino e tutte le caratteristiche peculiari delle donne.
Qual è la bellezza che vogliamo difendere? Non quella che abbiamo visto ostentare in questi giorni. E neppure in questi ultimi anni, se ripercorriamo a ritroso la storia estetica del Paese dagli Ottanta ad oggi. Per quanto la Minetti possa indossare cappottini di Versace e ballerine di Ferragamo,  portare borse di Hermes e si atteggi a moderna Audrey Hepburn, ogni paragone con il fascino filiforme della cerbiatta di Tiffany è improponibile.
Perché una componente essenziale di quelli che definiamo fascino e bellezza è la personalità e le ragazze di B. non sanno neppure cosa sia.
Perché bellezza, anche nell’arte, vuol dire imperfezione. E le ragazze di B. hanno fatto di tutto per eliminarla dai loro corpi. Non è un caso se sono tutte uguali e spesso indistinguibili, davvero si confondono una con l’altra.
Perché bellezza significa anche armonia, e non c’è niente di più disarmonico (non solo in senso estetico) di questo sgambettare, agitarsi, sbraitare, sgomitare. Tutto ciò è la negazione del fascino, della femminilità e della bellezza come le vorremmo invece celebrare.

Queste ragazze di B. hanno sempre inseguito una bellezza fittizia, che non c’entra niente con la vera bellezza di una donna. (E non cadiamo certo nel tranello di riferirsi alla bellezza interiore, quella che se sei bello dentro chissenefega di come sei fuori).
Il trentennio berlusconiano – da quando cioè le televisioni biscionate hanno cominciato a mandare in onda i programmi con donne seminude, per intenderci da Colpo Grosso a Drive In –  ha imposto un modello estetico copiato da Playboy: quelle di Hugh Hefner erano donne plastificate, bionde platinate, seno finto e sorriso standard da Barbie. Il biscione ha italianizzato il cliché  introducendo la mora mediterranea e  la maggiorata, ma il concetto è rimasto lo stesso: donna bambola, bellezza creata a tavolino, che ha portato tante ragazze a deturparsi appena compiuto 18 anni, con seni e protesi, lifting e tiratine, liposuzioni anticellulitiche e via elencando.

Berlusconi ha fatto della bellezza un’ossessione. Le donne di Forza Italia erano tutte “belle e brave”. “Abbiamo rinnovato, siamo una bella squadra” ripete ossessivamente B. L’importate è avere una “bella squadra”, che poi sia anche competente è secondario. La bellezza è un requisito non solo necessario, ma spesso sufficiente.

Non è un male che questo tipo di bellezza sia in disgrazia. Anzi sarebbe auspicabile che finisse nel fango dal quale è nata. Se tante ragazze la smetteranno di vestirsi da micromignotte, forse correranno meno il rischio di diventarlo sul serio. Se la fine che stanno facendo tante veline, letterine e aspiranti letteronze sarà pessima, forse ci saranno meno adolescenti che vorranno seguirne le orme, sperando in una candidatura o in un posto fisso.

Per  fortuna l’Italia è piena di ragazze belle e anche brave che però hanno deciso di non usare il proprio corpo. Sono la maggioranza delle donne che non volendo essere Veline non sono diventata Arcorine.

Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2011

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