Finalmente, con (tardiva) indignazione, anche per le donne è arrivato il momento del “Basta!” pubblico, della rivolta, della mobilitazione di piazza. Sarà, speriamo, un nuovo grande girotondo in difesa della dignità femminile. E’ un fatto nuovo, bello, che apre alla speranza di una non transitoria stagione di sdegno. Certo, a voler essere tignosi, c’è voluto del tempo per svegliarsi. C’è voluta l’overdose di indecenza emersa nell’ultimo mese, il porno spettacolo andato in onda su scala mondiale, l’escalation seriale del bunga bunga.

C’è voluto che il famoso “tappo” saltasse. Non è mai troppo tardi, è vero, ma perché il coraggio di gridare la propria rabbia pubblicamente, di chiamarsi a raccolta addirittura in termini bipartisan, si è manifestato solo ora, quando tutto è reso più semplice e popolare dal verosimile avvicinarsi del crollo dell’impero? Forse è solo un acre retropensiero. Forse no. Perché sono ormai anni, dal “ciarpame” svelato da Veronica, alla squallida vicenda di Casoria, alle ammucchiate di Villa Certosa, documentate sui media e sul web di mezzo mondo, alle performance, di rilievo planetario, sul lettone di Putin, che tutto già si sapeva sul grande mercato del sesso all’ombra del sultano, della scalata senza scrupoli, verso l’eden della politica o del privilegio, di arrampicatrici determinate, dell’allegro via vai più o meno compiaciuto di veline, meteorine, schedine in carriera, aerotrasportate nel paese dei balocchi, sotto la zelante protezione di una scandalosa cricca di favoreggiatori.

Diciamolo. Si poteva fare di più e farlo prima. Certo. Alcuni (alcune) hanno provato a gridare allo scandalo, a impegnarsi perché lo stesso mondo femminile provasse a fermare quell’onda senza ritorno, a trasformare un fenomeno deprimente in dibattito collettivo. Anche al femminile. Ma la rabbia dei singoli non è mai sfociata in vero, compatto, movimento di piazza. Succede ora ed è comunque un bene. Poi sarebbe magnifico che non fosse solo una ribellione spot, ma l’inizio di una grande sfida per la riconquista di una femminilità e di una libertà sessuale non asservita al dio soldo o al dio potere.

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