Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.
E’ l’articolo 35 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, elaborata nel corso della Rivoluzione francese.

Ora. L’Italia non l’ha fatta, la rivoluzione francese. Difficile che possa fare una rivoluzione anche solo culturale, perché la fabbrica del consenso e il pensiero unico stanno lì, dietro l’angolo. Avallati anche da “sinistra” (le virgolette sono d’obbligo).

Succede anche questo, nell’Italia del 2011, dove la deriva politica e morale è sotto gli occhi di tutti, con buona pace di quella società dello spettacolo incapace di uscire dai cliché della fiction, una società che si esprime attraverso i suoi esponenti a colpi di dita medie alzate e di telefonate di insulti, di strategie di consificazione mediatica che nemmeno Guy Debord avrebbe potuto prevedere.

Succede che una lettera che porta fra i firmatari Piero Sansonetti, Fabrizio Rondolino, Ottaviano Del Turco, Claudio Velardi, Massimo Micucci, Enza Bruno Bossio, inizi letteralmente così: “Care compagne e cari compagni, per carità, per il nostro bene, fermatevi”. E succede che questa lettera prosegua con toni che fanno venire i brividi ai polsi, fino a declamare: “La corruzione va perseguita, ma non, come fu nel ’92-’94, decapitando una classe politica”. Nell’immagine che accompagna la lettera, una foto di Silvio Berlusconi che guarda, malinconicamente, altrove. Povero. Travolto – ma non abbastanza – dal Rubygate, in effetti ha proprio bisogno di essere assistito a “sinistra”.

A chi si rivolge, l’allegra compagnia di Sansonetti? Alle compagne e ai compagni? Le compagne e i compagni di chi? A chi ha nostalgia di Bettino Craxi? Ai MoDem? A quelli che hanno paura di venire decapitati, travolti dall’indignazione per il marcio che sommerge e soffoca la società civile? Oppure ai magistrati e ai giornalisti, presunti “compagni”, che cercano di fare il loro lavoro? E qual è lo scopo di questo appello? Che senso ha?
Ha paura di qualcosa, la brigata Sansonetti?

C’è tanta voglia-di-Bettino, in quella lettera lì, che invita la sinistra a non involversi autoritaristicamente, a non cedere alle lusinghe del giustizialismo. C’è voglia di riscrivere la storia di Tangentopoli. Ma c’è qualcosa di più. C’è il pensiero monosofico che emerge, ci sono i vecchi che cercano di salvarsi e per farlo sono disposti a salvare tutto il sistema; ci sono – anche se non firmano la lettera – i Fassino e i Renzi a braccetto con Marchionne. Ci sono i Chiamparino che invitano al governo di scopo con il Terzo Polo. C’è l’appiattimento culturale. C’è quell’uso aberrante della parola compagni.

E c’è anche la sconfitta di un popolo che non reagisce più a nessuno stimolo. Altro che diritto e dovere all’insurrezione: la brigata Sansonetti non deve avere paura e l’appello non serve a nulla. Gli italiani non decapiteranno un bel niente, assuefatti e rimpinzati dalla tv e dalla loro stessa indignazione rancorosa, che coltivano fra le pareti di casa.

Così, si delinea in maniera perfetta quello a cui dobbiamo prepararci quando – e se, perché non è mica detto che accada a breve – il calendario italiano potrà riportare la dicitura Dopo Berlusconi.

E allora, care compagne e cari compagni, almeno incazzatevi.

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