Il presidente cinese Hu Jintao è andato a visitare Obama. In linguaggio diplomatico questo significherebbe che il presidente americano è più importante di lui ma, stavolta, le cose non stanno proprio così: sta solo reciprocando la visita di Obama in Cina del 2009.

Fra i due paesi ci sono molte questioni sul tappeto. Alcune sono di vitale importanza, come la questione finanziaria scoppiata al summit del G20 di novembre scorso, quando Obama ha rimproverato Hu Jintao di spendere “un’enorme montagna di soldi” per svalutare la moneta cinese, cosicché le merci importate in Cina dagli Usa diventano più costose, mentre i prodotti cinesi sui mercati esteri sono più convenienti. Però la questione della Nike e della Apple, parlando di diritti umani, non è che Obama l’abbia risolta.

Altre questioni sono di copertura, per salvare la faccia. Fra queste ci metterei quella dei diritti umani: sussurrata molto sottovoce, quasi un silenzio, infatti, solo per far vedere quanto gli Stati Uniti siano democratici. In realtà niente è stato fatto di concreto per aiutare il popolo tibetano o quello uighuro. E il Tibet era un paese libero, che si muoveva a livello internazionale come uno stato indipendente – prima dell’invasione cinese del 1950-51.

Certo, mi si dirà che la Cina è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e lo spazio di manovra è ridotto: ma è veramente questo il motivo della non
intromissione nella questione dei diritti umani cinesi, oppure le ragioni sono economiche e finanziarie? Perché gli Usa potrebbero anche dire una parolina per difendere i membri del Falun Gong, che, benché totalmente pacifici, sono perseguitati sin dalla nascita del movimento, eppure non lo fa. Anzi, non lo ha mai fatto, almeno ufficialmente, anche se a onor del vero ospita molti cinesi del Falun Gong come rifugiati politici, tra cui Li Hongzhi, il fondatore, ha ricevuto il premio International Religious Freedom Award per l’avanzamento della libertà spirituale e religiosa dalla potente Ong americana The Freedom House.

Poi ci sono questioni recenti da discutere, come quella del nucleare nella Corea del Nord, sulla quale per una volta sono d’accordo. Le nazioni che hanno la capacità di lanciare missili con testate nucleari sia via terra, sia via mare che aria comprendono la Russia, gli Usa, la Cina e, un domani, probabilmente, l’India. Iran, Corea del Nord e vari ed eventuali sono pregati di stare al loro posto. Ma se Obama decidesse di fare qualcosa di più delle sanzioni contro la Corea, non so se la Cina parteciperebbe.

Quindi colloqui, reciproche visite, accordi, forse. Ma non è sfuggita a nessuno la notizia, smentita ieri da Buckingham Palace, che i 16.000 piatti e porcellane della cerimonia di nozze del principe William di Inghilterra con Kate Middleton vengono dalla Cina – e sarebbero anche molto kitsch, detto fra noi. Siamo certi che possiamo ancora relegare la Cina solo a
silenzioso partner economico, o più spesso concorrente, e non che la Cina sia molto più vicina di quello che pensiamo e che, oltre alla moda cinese, la cultura cinese, gli utensili cinesi, non ci occuperemo anche di gossip che viene dalla Cina?

Non in futuro, domani. Anzi, oggi.

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