Sbagliato parlare di fascismo, si affanna a dire la segretaria sindacale. Non è fascismo, ribatte il commentatore tv. Ridicolo parlare di fascismo, ripete il ministro. E basta con queste categorie vecchie di cent’anni – fascismo, corporativismo – siamo nel 2010 no?

Però se si leggono i 30 brevi articoli della Carta del Lavoro votata dal Gran Consiglio del Fascismo nel 1927, le analogie con le turbo-riforme del diritto del lavoro di questi ultimi mesi fanno venire i brividi. Non sarà fascismo ma usa gli stessi termini: Carta del Lavoro, Prestatori d’opera, Collaboratori, Tentativo di Conciliazione. Parole che nascondono concetti e intenti del tutto uguali a quelli odierni.

Sentite qua: “Nelle controversie collettive del lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione. In quelle individuali le corporazioni hanno facoltà di interporre i loro uffici per la conciliazione”. Il collegato lavoro, la cosiddetta “legge ammazzaprecari” che con la prossima scadenza del 23 gennaio vedrà ridotte le possibilità di far causa alle aziende, non dice la stessa cosa?

Questa è un’altra chicca che riassume la tendenza degli ultimi accordi tra le parti sociali: “La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all’accordo delle parti nei contratti collettivi”.

C’è di più. L’articolo 19 della Carta del Lavoro riassume in breve le fumose frasi del contratto di Pomigliano che parlano di responsabilità di lavoratori e delegati sindacali sugli atti volti a rendere vani gli accordi: in pratica, la parte che punisce lo sciopero. Dice: “Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda commessi dai prestatori di lavoro sono puniti, secondo la gravità con multa, sospensione o licenziamento immediato senza indennità”. Questo sì che è parlar chiaro!

L’analogia dell’art. 3 è poi imbarazzante: “L’organizzazione sindacale è libera, ma solo il sindacato riconosciuto legalmente ha il diritto di rappresentare tutta la categoria per cui è costituito, di stipulare contratti collettivi, di imporre contributi”. È il passaggio fondamentale, il succo di quel che sta succedendo in questi giorni, di cui naturalmente nessuno parla: il Sindacato diventa Corporazione.

Comunque la pensiate al riguardo, è triste scoprire come le tanto decantate nuove relazioni industriali del moderno Marchionne ricalchino, almeno in parte, quelle di un secolo fa. Se, oltre all’età, si aggiunge il carattere autoritario del fascismo, e la fiacchezza dell’opposizione riformista del tempo, il quadro delle similitudini diventa da panico. Per la cronaca, nel ’27 oltre alla Carta del Lavoro venivano sgomberati oltre cento spazi sociali del tempo (spacci contadini, società di mutuo soccorso e cooperative), licenziati o zittiti sindacalisti non corporativi, sciolte le Camere del Lavoro, disposta la sospensione dell’indennità carovita dai contratti (la vecchia scala mobile) e la diminuzione del 10% secco dei salari per tutti i dipendenti pubblici.

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