Ma sì! Chissenefrega delle balene, se scompaiono è colpa loro, sono troppo grasse, e se poi c’è da fare un bell’accordo commerciale segreto con il Giappone, che vadano al diavolo ‘sti ambientalisti rompiballe. Così deve aver pensato il segretario di stato americano Hillary Clinton in barba al suo bon ton politically correct quando ha avallato uno sciagurato complotto per riprendere la caccia sostenibile (ormai alcune parole sono slogan di copertura delle peggiori nefandezze) alle balene.

La notizia l’ha rivelata Wikileaks di Julian Assange ed è stata riportata anche dal quotidiano spagnolo El País. Ma andiamo con ordine per capire cosa è successo in questa emblematica vicenda che dimostra – come ci fosse bisogno di ulteriori conferme – di quale sia la visione ambientale dei leader mondiali, e cioè la partita nella quale si gioca la nostra stessa sopravvivenza, insieme a quella delle balene.

Come è noto, una moratoria internazionale vieta l’uccisione di questi splendidi mammiferi, anche se il divieto non viene rispettato dalla Norvegia e specialmente dal Giappone, che continuano la carneficina con il pretesto della “ricerca scientifica” (e val bene ricordare che il commercio delle carni e dei derivati dalle balene è in mano alle mafie orientali).

Contro le baleniere giapponesi combattono con coraggio alcuni cavalieri del mare, sono gli ambientalisti di Greenpeace e quelli della organizzazione non governativa Sea Shepherd, i quali, con una nuova pionieristica imbarcazione, sono riusciti a impedisce di lanciare i micidiali arpioni esplosivi (esplodono una volta colpito il cetaceo, ndr). Ebbene, i documenti messi in chiaro da Wikileaks rivelano che, in vista dell’ultima riunione della Commissione baleniera internazionale del giugno 2010, era stato tentato da Tokyo un accordo con gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda per mettere a freno l’attività degli ambientalisti di Sea Shepherd.

Il Giappone era disposto a diminuire la sua quota di caccia (attualmente 850 balenottere minori più 100 di altre specie!)  e di evitare di uccidere gli esemplari più grandi, vale a dire megattere e balenottere minori nel Sud del mondo, nonché di cancellare la scappatoia della “ricerca scientifica”, se gli Usa avessero accolto la richiesta di Tokyo di una forma di legalizzazione per una caccia “sostenibile”, cioè in piccola scala delle balene al largo della coste nipponiche. In più i giapponesi pretendevano la ratifica di leggi a garanzia “della sicurezza nei mari”, in pratica una specie di impunità. Termine, quest’ultimo, per il quale, secondo Sea Shepherd, si nasconderebbe la richiesta giapponese di un impegno degli Usa a rendere la vita difficile alla stessa associazione ambientalista, inasprendo i procedimenti penali e cancellando il diritto dell’organizzazione non governativa all’esenzione fiscale.

L’accordo, per il quale le parti avrebbero iniziato a negoziare già nel 2008, aveva ottenuto un primo benestare del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, nonché l’avvallo della Nuova Zelanda, e sembrava stesse andando in porto, in pratica condannando a morte le ultime balene rimaste. I giapponesi avrebbero poi fatto pressioni sugli Stati Uniti  perché questi ultimi si facessero portatori dell’iniziativa anche nei confronti dell’Unione Europea e dell’Australia, dove Sea Shepherd attracca, rifornisce e immatricola le sue navi.  Ma il nefasto progetto non sarebbe andato in porto anche perché, il 4 febbraio scorso, il ministro dell’Ambiente australiano Peter Garrett avrebbe respinto al mittente la proposta formulata dall’ambasciata Usa a Canberra ritenendola “inaccettabile” per il governo australiano.

La notizia si commenta da sola! Ma a tutti noi la capacità di essere vigili e denunciare chiunque vuole rubarci il futuro. Bisogna boicottare i prodotti giapponesi sino a che non smettono di cacciare le balene e la finiscono di pescare selvaggiamente i tonni con le loro manie alimentari del sushi, sostenendo gli ambientalisti che combattono in prima linea. Per chi non li ha mai visti in azione, nemmeno in un serial documentario televisivo, eccolo.

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