I cinesi avrebbero spiato la produzione di auto elettriche di Renault. La notizia è stata diffusa la settimana scorsa, con l’intelligence francese in prima linea per fare luce su quella che Eric Besson, ministro dell’Industria, non ha esitato a definire una vera e propria “guerra economica”. Tre manager Renault, sospettati di aver diffuso informazioni segrete a favore di società concorrenti, sono stati sospesi mercoledì 5 gennaio. “Un atto inevitabile”, ha fatto sapere la casa automobilistica francese, partecipata dal governo con il 15%. Un’azione esemplare per punire “dirigenti in posizioni strategiche”, che avrebbero “danneggiato il patrimonio dell’impresa”, come ha dichiarato Christian Husson, direttore della compliance di Renault.

All’intricata vicenda si aggiungono oggi altri particolari, riportati in anteprima da Le Figaro. “Secondo quanto rivelato dagli investitori privati che si stanno occupando del caso, due dei tre quadri Renault sospesi avrebbero tenuto conti in Svizzera e Liechtenstein, alimentati da una società cinese”, scrive il quotidiano conservatore francese. Le Figaro cita una nota della Direction centrale du Reinseignment intérieur ( l’agenzia di intelligence francese) datata 7 gennaio. Per ora si tratta di “una serie di sospetti convergenti, che il controspionaggio francese dovrà dimostrare, quando sarà ufficialmente aperta un’inchiesta giudiziaria”, ci tiene a precisare il giornale. “Sono attualmente in corso delle verifiche in attesa che Renault depositi una denuncia formale”.

In un primo momento la casa automobilistica sembrava orientata a una risoluzione interna del problema. I primi sospetti erano affiorati in agosto, ma Renault, invece di rivolgersi alle autorità competenti, si era affidata a una società di investigatori privati, che ha osservato e spiato per quattro mesi i tre manager che sono stati poi sospesi: Jean-Michel Balthazard, in Renault da trent’anni e membro del Comitato di Direzione, il suo collaboratore Bertrand Rochette e Matthieu Tenebaum, assistente alla direzione progetti per i veicoli elettrici. “I servizi speciali di polizia hanno appreso la questione dalla stampa”, ha dichiarato al Figaro una fonte vicina alle forze dell’ordine. “Nemmeno i servizi segreti sono stati messi al corrente”. A giudicare dai dati che hanno raccolto gli investigatori privati, la società cinese coinvolta sarebbe un gigante della distribuzione elettrica controllato dallo Stato. Le Figaro fa il nome della China State Grid Corp., che avrebbe versato almeno 130.000 euro su un conto in Liechtenstein e 500.000 euro in un secondo conto in Svizzera in cambio di informazioni tecniche riservate sui motori elettrici.

Dopo la pubblicazione di queste notizie sono piovute le smentite ufficiali. “Le accuse sono irresponsabili, prive di fondamento e inaccettabili”, ha dichiarato oggi Hong Lei, portavoce del ministro degli esteri di Pechino. Gli ha fatto eco il ministro francese del budget François Baroin, intervistato questa mattina dalla radio Europe 1: “la Francia non ha lanciato accuse ufficiali ad alcun paese. L’inchiesta è in corso. Renault è vittima di una guerra di intelligence economica internazionale”. Baron ha fatto riferimento a una “filiera internazionale” di spionaggio industriale, senza mai nominare la Cina.

Del resto, se nei prossimi giorni fosse dimostrato il ruolo cinese nell’affaire di spionaggio che ha sconvolto i vertici di Renault, per la Francia potrebbe iniziare un lungo incubo diplomatico e commerciale. Prima di tutto perché Sarkozy sta cercando di sfruttare la presidenza francese del G20 proprio per assicurare il sostegno della Cina al suo programma di riforma del sistema monetario internazionale. E in secondo luogo perché, giusto due mesi fa, il presidente cinese Hu Jintao era stato accolto a braccia aperte all’Eliseo per celebrare i contratti multimiliardari siglati da Airbus, Alcatel-Lucent, Total e il colosso nucleare Areva con Pechino. “La Cina non deve essere vista come un rischio, ma come un’opportunità”, aveva dichiarato allora Nicolas Sarkozy, prima della sfilata trionfale sugli Champs Elysées. Forse, tra qualche settimana, sarà costretto a correggere il tiro.

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