L’asta funziona ma i segnali di allarme non mancano. E’ questa in sintesi la valutazione della giornata odierna dominata, sul fronte finanziario, dall’attesa collocazione dei Bot a 12 mesi da parte del Ministero del Tesoro. L’Italia ha piazzato con successo i 7 miliardi di euro di titoli annuali ottenendo una ricaduta positiva sul valore delle obbligazioni a lungo termine. Sulla scia del buon risultato ottenuto, lo spread – il differenziale di rendimento – tra i bond decennali italiani e gli omologhi tedeschi è sceso di circa 10 punti base attestandosi a quota 194. Un dato che segnala un’importante inversione di tendenza e che spezza una risalita preoccupante che rischiava di riportare il livello verso il massimo storico di 210 registrato a novembre. Il “bid to cover”, cioè il rapporto tra domanda e offerta, resta positivo con il valore di oggi che si ferma all’1,625 con 11,4 miliardi di richieste contro i 7 disponibili. In altri termini 16 potenziali compratori ogni 10 obbligazioni.

Le notizie positive, a ben vedere, finiscono però qui. La percezione del rischio sulla solidità italiana sta infatti aumentando come evidenzia il rendimento medio dei Bot stessi che si colloca oggi a quota 2.067%, il massimo da due anni a questa parte (dicembre 2008). Ma la notizia peggiore, per le finanze pubbliche, viene dal mercato dei derivati. La società londinese Cma, uno dei principali monitor mondiali sui derivati scambiati al di fuori delle borse (over the counter), ha diffuso in questi giorni gli ultimi dati sul rischio sovrano calcolati a partire dal valore dei  credit default swaps (CDS), gli strumenti con i quali gli investitori si assicurano contro il rischio di fallimento degli Stati.

La novità è che il valore dei CDS sull’Italia è salito nell’ultimo trimestre da 196 a 238 punti base determinando un a crescita del rischio bancarotta a 5 anni dal 16,1 al 19,3%. E dal momento che non sono stati certo in molti a registrare simili incrementi si scopre, scorrendo la classifica globale, che l’Italia è oggi il 12° Paese a maggior rischio default del mondo. Appena tre mesi fa ci piazzavamo al 23° posto. Ad oggi, insomma, scommettere sui titoli italiani a medio lungo termine rappresenta un azzardo maggiore di quello che si correrebbe sui titoli islandesi, nazione tecnicamente fallita un paio d’anni or sono, nonché sulle obbligazioni di Bulgaria, Libano, Croazia, Kazakistan e delle disastrate repubbliche baltiche.

I dati più impressionanti vengono però dall’alta classifica. Mentre Grecia (1°) e Venezuela (2°) restano irraggiungibili, Irlanda e Portogallo irrompono prepotentemente in alta classifica piazzandosi rispettivamente al terzo e quarto posto. Un risultato notevole che evidenzia almeno due aspetti. Il primo è dato dalla crescita del rischio Irlanda sottolineata dall’incredibile incremento dei punti base sui Cds (619 oggi contro i 266 di luglio, ovvero circa 62 euro per assicurare un credito di 1.000 contro i 26,6 che si pagavano in estate). Il secondo è relativo ai timori sulla capacità del Portogallo di evitare il salvataggio esterno.
Timori che crescono di giorno in giorno. Lo spread tra i titoli a 10 anni di Lisbona e gli equivalenti tedeschi è sceso oggi a quota 404 ma la tendenza generale resta preoccupante. A molti, ormai, la resa portoghese sembra solo questione di tempo. E l’intervento europeo sembra sempre più l’ultima occasione utile per frenare quell’effetto contagio che minaccia le economie di Spagna e Italia. Per le quali, come noto, non ci saranno mai sufficienti fondi di emergenza.

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