A voler credere alle rassicurazioni di Sonia Viale, l’avvocata leghista che a maggio è stata promossa sottosegretario all’Economia (prima faceva l’assistente del ministro Roberto Maroni), questa sembra proprio la volta buona per fare chiarezza. “La Consob sta indagando”, ha assicurato Viale il 25 novembre scorso rispondendo a un’interrogazione parlamentare. E’ in corso un’inchiesta a tutto campo sulle manovre azionarie in corso da mesi attorno al gruppo di Salvatore Ligresti. Rastrellamenti di titoli, repentini ribassi seguiti da impennate altrettanto veloci. E poi pacchetti di azioni intestati a non meglio precisati “soggetti terzi”, annunci di alleanze (quella con i francesi di Groupama) e complicati aumenti di capitale.

Il fatto è che le indagini della Commissione di controllo sui mercati (dove ancora non si è insediato il nuovo presidente designato Giuseppe Vegas) si sono fin qui avventurate in un mare incognito disseminato di società off shore, banche che fanno melina, finanzieri con base tra la Svizzera e Panama che sembrano troppo occupati per rispondere ai quesiti che arrivano da Roma. Insomma, per il momento la situazione appare tutt’altro che chiara. Forse è anche per questo che ambienti vicini ai Ligresti garantiscono che la famiglia sta studiando un riassetto delle proprie attività con base nel paradiso fiscale del Lussemburgo. Nel senso che già nel gennaio prossimo potrebbe essere deliberato il rimpatrio in Italia di una pattuglia di società. E cioè la holding Starlife. E poi le finanziarie Hike, Canoe e Limbo, che fanno capo a Jonella, Giulia e Paolo Ligresti, i tre figli del patron Salvatore. Parte da qui, dal Lussemburgo, una complicata rete di partecipazioni che porta fino al cuore del gruppo, la Fondiaria assicurazioni ora in grave crisi finanziaria.

Trasloco in vista, quindi? Si vedrà. Certo è che al momento l’album di famiglia dei Ligresti comprende, oltre a quelle citate, anche altre finanziarie lussemburghesi dove sono transitati in tempi recenti decine di milioni di euro. E’ il caso della Mermer international. O della Valadon. Quest’ultima, creata nel gennaio del 2008, a maggio di quest’anno aveva già esaurito la sua missione, ed è finita in liquidazione. Nel frattempo Valadon ha fatto da sponda a una complessa operazione immobiliare che ha fruttato profitti multimilionari ai Ligresti, che dichiarano di possedere il 49 per cento del capitale della stessa Valadon. Il nome del socio di maggioranza resta invece un segreto ben custodito negli archivi di qualche notaio lussemburghese. Quanto alla Mermer international, si sa che fa capo alla Sinergia, un’altra società del finanziere e immobiliarista siciliano. Nel bilancio di Mermer troviamo una partecipazione nella Imco (un’altra sigla di casa Ligresti) e, al passivo, un prestito obbligazionario per 16 milioni. La sorpresa è che il controllo sui conti di questa finanziaria lussemburghese è affidato alla Gordale marketing limited, che avrebbe sede nientemeno che a Cipro, un altro paradiso fiscale.

Un salto in Spagna e approdiamo alla Minoritaria holding, anche questa targata Ligresti ma gestita da Giancarlo De Filippo, 73 anni, residente a Montecarlo, amministratore tra l’altro della Monaco capital partners, una finanziaria con sede ai Caraibi, nell’oasi fiscale delle British Virgin islands. De Filippo, conosciuto in Costa Azzurra come un uomo d’affari dal patrimonio personale a dir poco florido, frequenta Ligresti da un paio di decenni. Non per niente lo troviamo anche nel consiglio di amministrazione della Marina di Loano, controllata da Fondiaria, ma il rapporto, consolidatosi negli anni, potrebbe aver fruttato anche altri affari in comune.

La Consob indaga. Per adesso, però, appare ancora lontano da una soluzione il giallo più intricato. In sintesi: da almeno dieci anni c’è un pacchetto del 9 per cento circa della holding dei Ligresti, la Premafin quotata in Borsa, di cui non è mai stato chiaro chi siano i reali proprietari. C’è una banca, il Credit Agricole di Ginevra che lo amministra per conto terzi. E stop. Fine delle informazioni. A partire dal 2009 la quota si è assottigliata fino al 2,6 per cento, ma il Credit Agricole ha comunicato questa notizia alla Consob solo in ottobre di quest’anno. E solo dopo essere stata sollecitata a farlo dalla Commissione. Particolare importante: Premafin è la stessa società che si appresta a chiedere al mercato 225 milioni con un aumento di capitale. I soldi, come è già stato annunciato, arriveranno in buona parte (145 milioni) dalle casse dell’assicurazione francese Groupama. Prima, però, la Consob però vuole vederci chiaro sulle manovre di Borsa che hanno preceduto l’annuncio dell’alleanza con Groupama. Compreso l’ingresso sulla scena del finanziere bretone Vincent Bolloré, che tra agosto e settembre ha rastrellato sul mercato il 5 per cento di Premafin.

La Commissione vorrebbe anche capire una volta per tutte chi sarebbero i soggetti terzi che detengono il pacchetto intestato al Credit agricole e i loro rapporti con i Ligresti. Erano investitori autonomi o semplici prestanome? Questo in breve l’interrogativo da chiarire. Facile a dirsi. Perchè il Credit Agricole si è mosso con grande flemma (eufemismo), prima ritardando le comunicazioni sulla quota detenuta fiduciariamente. E poi inviando un quesito alla «Commissione sull’interpretazione delle norme in materia. Quandoi poi la Consob ha finalmente ricevuto l’elenco dei reali proprietari delle azioni Premafin, ha scoperto che erano in gran parte schermati da società con base a Panama o in altri paradisi fiscali. Come dire che potrebbero servire alcuni mesi per risolvere quest’ultimo rebus.

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