C’è qualcosa che a volte, nella città di Taranto, accomuna uova e lumache, cozze e formaggio: un’alta percentuale di diossina. Quando nel 2008 Alessandro Marescotti, dell’associazione Peacelink, scoprì la percentuale di diossina nel pecorino prodotto alla periferia di Taranto, si allarmarono in parecchi. Era tre volte oltre i limiti di legge: 2 grammi di quel pecorino superavano la dose di diossina giornaliera tollerabile da un bambino di 20 chili. L’Asl confermò le sue denunce: da allora sono state abbattute 1.200 pecore, altre mille sono condannate a morte ed è stato interdetto il pascolo libero, nei terreni incolti, nel raggio di 20 km dall’area industriale.

C’è da credergli, quindi, se oggi dice: “Le cozze andrebbero abbattute, oltre le pecore: in 100 grammi di cozze – spiega – si possono trovare anche 200 picogrammi di diossina: ben più dei 120 che si potevano ‘ingoiare’ mangiando 100 grammi della carne d’agnello che hanno abbattuto. La legislazione vigente, però, riserva a mitili e pesci un trattamento più blando. E le cozze di Taranto sono a norma”.  Nel 2008, quando fu trovato il pecorino contaminato, l’Arpa valutò che a Taranto ben 172 grammi di diossina, in un solo anno, venivano fuori dal camino “E312” dell’Ilva: la più grande acciaieria d’Europa.

Nel 2004, l’intera industria della Spagna aveva prodotto 75 grammi di diossina, nel Regno Unito 68, in Svezia 20, in Austria appena 1,5. Quando il vento soffia, dall’area industriale verso il rione Tamburi, la concentrazione di diossina nell’aria è 14 volte superiore rispetto a quando il vento va in direzione opposta, dalla città verso l’Ilva. Oggi la situazione è migliorata del 90 per cento, una legge regionale sta fissando il limite delle emissioni a un massimo di 10 grammi l’anno, corrispondenti a 0,4 nanogrammi a metro cubo: il limite europeo, quindi, è recepito nella legge regionale. Ma non in quella nazionale.

La strada da percorrere è ancora lunga: non di sola diossina, s’ammala Taranto, ma anche di benzo(a)pirene. E anche in questo caso, l’Ilva ha un ruolo ben preciso. Certo, parliamo di una grande realtà industriale, che porta lavoro e stipendi, che ingrossa il Prodotto interno lordo tarantino e italiano. E il Pil è considerato – a torto – il principale indice di benessere di un’economia. Ma quanto peserebbe, se venisse considerato alla stregua del Pil, l’allarme dell’organizzazione mondiale della Sanità: l’aumento di ogni singolo nanogrammo di b(a)p per metro cubo, in media, può provocare 9 casi di cancro su 100 mila persone. È dal 1994 che un decreto legge ha fissato, nel limite massimo di 1 nanogrammo per metro cubo, l’emissione di b(a)p: doveva essere rispettato sin dal 1999. Ad agosto di quest’anno, un nuovo decreto legislativo ha rinviato il rispetto del limite al dicembre 2012. Altri due anni di attesa. Altri due anni concessi per sforare il tetto delle emissioni.

E a causa della cokeria, l’Ilva è considerata, da Arpa Puglia, responsabile del 98 per cento del b(a)p nel rione Tamburi: in via Machiavelli viene riscontrata una media, tra il 2008 e il 2009, di 1,3 grammi l’anno. Non solo. I vertici dell’Ilva vengono indagati dalla Procura di Taranto (poco prima del decreto che rinvia di 2 anni il rispetto dei limiti) per “disastro doloso”, “getto e sversamento di sostanze pericolose” e “inquinamento atmosferico”. A ottobre è stato disposto un incidente probatorio per “accertare se i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti e accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva di Taranto”.

Ecco: se fosse accertato, quanto peserebbe nell’economia tarantina e nazionale la produzione di un “fegatino”, piatto tipico di Taranto, contaminato dalla diossina? Quanto peserebbe la produzione del pecorino inquinato? È la domanda che si pone Report in onda questa sera. Che a Taranto ha dedicato un ampio spazio. E quanto pesi, nella vita di tutti i giorni, l’invasione di diossina e benzo(a)pirene, lo sanno bene i cittadini tarantini. Peacelink si sta battendo perché il decreto legge che rinvia di due anni il rispetto del limite d’emissione di b(a)p possa essere modificato. Il b(a)p è un agente cancerogeno genotossico: può trasmettersi di generazione in generazione. Provoca la riduzione del quoziente intellettivo dei neonati e pericolose malattie respiratorie. “Una nostra legge regionale, già passata in Giunta, impone il rispetto dei limiti prima del 2012”, dice l’assessore all’Ambiente Lorenzo Nicastro. Ora c’è un monitoraggio più attento delle aree industriali tarantine: “Cementir ed Eni partecipano al monitoraggio con centraline acquistate a proprie spese”. L’Ilva no: “Ha revocato la propria disponibilità”, conclude Nicastro, “visto che è sotto inchiesta. Ma abbiamo posizionato centraline della Regione nell’area esterna più vicina alla cokeria”. Misure di controllo, che però non impongono né sanzionano nulla, grazie al decreto legislativo di quest’estate.

da Il Fatto quotidiano del 12 dicembre 2010

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