Ancora in crescita i livelli di corruzione in Italia. Con oltre un milione di persone coinvolte in vicende di tangenti. Lo sostiene l’edizione 2010 del Gcb (Global Corruption Barometer) redatto come ogni anno dal network Transparency International, sede centrale a Berlino, ottanta gruppi nazionali associati. Un dato impressionante, quello che si riferisce al nostro Paese: il 3,8 per cento delle persone interpellate dai ricercatori di Transparency ammette infatti di aver pagato mazzette o di aver subìto richieste di denaro. Pesante il giudizio sul governo: il 64 per cento ritiene che non abbia operato con incisività per contrastare la corruzione. E, più in generale, sulla politica: la corruzione nei partiti cresce in Italia a livello 4,4 (su una scala che ha come massimo 5 punti). Peggiorando una situazione già non positiva: nel 2005 il punteggio raggiunto dal nostro Paese era 4,2. Il 61 per cento degli interpellati ritiene che la corruzione in Italia negli ultimi tre anni sia aumentata. E solo il 5 per cento pensa che sia invece diminuita. È grande la sfiducia verso le istituzioni, ritenute inquinate: il Parlamento (4 punti su 5) e le imprese (3,7); ma anche il sistema giudiziario (3,4) e i media (3,3).

Il barometro di Transparency segna dunque tempo pessimo per l’Italia. Il milione di persone coinvolte a vario titolo nei giochi sporchi della corruzione opera in diversi campi. Le tangenti sono richieste o pagate nel settore delle dogane (13,9 per cento); nelle transazioni immobiliari (12,9); nel sistema sanitario (10); nel settore dei servizi, telefonia, elettricità eccetera (8,7); per oliare le ruote del fisco (6,9); per ottenere permessi o registrazioni negli uffici pubblici (6,4); per ottenere favori nel sistema scolastico (5,6 per cento). Percentuale record, a sorpresa, per il sistema giudiziario (28,8 per cento).

Questi dati di un organismo internazionale sulla percezione della corruzione da parte dei cittadini confermano, se non aggravano, i dati e gli allarmi già periodicamente lanciati nel nostro paese da magistrati, giornalisti, ricercatori. O da istituzioni come la Corte dei conti, che ha denunciato un clamoroso aumento del 229 per cento delle denunce pervenute nell’ultimo anno alla magistratura contabile.

Di fronte a questi allarmi, la politica è rimasta in silenzio. Oppure ha addirittura reso più difficile ai giudici le indagini, i processi e le condanne per corrotti e corruttori. Dopo leggi ad personam, indulti e depenalizzazioni, la politica non ha prestato alcuna attenzione, per esempio, alla proposta di leggi anticorruzione recentemente avanzata dal Fatto Quotidiano. Intanto avanza l’illusione culturale, propagandata da più d’un commentatore in più d’un organo di stampa, che una certa quota di corruzione e illegalità, al di là dei giudizi morali, renda più fluido il sistema, faccia girare più forte la macchina degli affari e contribuisca a modernizzare e arricchire il Paese. È un’illusione, anzi una truffa: la corruzione distorce e frena lo sviluppo, pesa sull’economia e rende diseguali gli operatori: premiando i più furbi e indebolendo i più capaci. È un costo aggiuntivo e parassitario. Ma come si più far trionfare questa semplice constatazione, nel Paese in cui i più furbi vanno al governo e anche i deputati sono in vendita?

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