Fashion victim, letteralmente. Perché anche la moda può uccidere e acquistare un paio di jeans può significare mettere in pericolo la vita degli operai che li fabbricano. Arriva da Istanbul, in occasione del Forum internazionale 2010, l’appello contro i “jeans killer” della Clean Clothes Campaign, la rete globale di associazioni che si batte per la difesa dei diritti dei lavoratori del tessile. Una petizione per chiedere ai governi degli Stati produttori dei circa cinque miliardi di jeans che vengono immessi ogni anno nel commercio, l’abolizione della tecnica della sabbiatura, il trattamento all’origine dell’effetto “invecchiato” del denim. Questa tecnica è responsabile, secondo diversi studi scientifici, dell’aumento fra gli operai del settore dei casi di silicosi, una malattia polmonare mortale.

Secondo il report “Vittime della moda” pubblicato dalla coalizione, nella sola Turchia, paese fra i maggiori esportatori mondiali di jeans, sono cinquemila i lavoratori ad essersi ammalati negli ultimi dieci anni e circa cinquanta i decessi dovuti all’esposizione ad agenti chimici e polveri legate alla tecnica della sabbiatura meccanica. Un bilancio sufficiente al governo di Ankara per vietare, nel 2009, la pratica in tutti i laboratori tessili del Paese, ma che non ha ancora convinto stilisti e produttori delle maggiori marche di jeans ad abbandonare per sempre la moda dell’effetto slavato. Dal Bangladesh alla Cina, passando per Pakistan, Indonesia, India e diversi stati del Nord Africa, secondo la Clean Clothes Campaign, sarebbero ancora centinaia le piccole fabbriche nate in seguito alla delocalizzazione dei grandi marchi occidentali, dove la decolorazione del denim si ottiene spruzzando sul tessuto sabbia ad alto contenuto di silice, sostanza estremamente pericolosa per la salute che viene invece maneggiata dagli operai in ambienti insalubri e senza le adeguate protezioni.

“La maggior parte dei jeans che troviamo nei nostri negozi provengono da Paesi dove non esistono o non vengono applicate norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro – afferma Deborah Lucchetti, coordinatrice per l’Italia della Campagna Abiti Puliti – Non si possono mettere in pericolo vite umane per una moda, di fronte a questa consapevolezza l’unica soluzione è quella di bandire questa tecnica”. Un appello che la sezione italiana della coalizione ha rivolto a nove fra i marchi più famosi del made in Italy, informandoli dei rischi e chiedendo loro di garantire ai clienti jeans liberi dal sandblasting. “Abbiamo interpellato Prada, Gucci, Versace, Benetton, Armani, Dolce e Gabbana, Diesel, Replay e Cavalli” spiega la coordinatrice – perché anche gli stilisti e i creativi devono rendersi conto che le loro scelte possono essere determinanti per imporre tendenze che non abbiano conseguenze cosi pericolose”.

Fra le prime risposte, quella del marchio Benetton che ha dichiarato di voler cessare la vendita di jeans sbiaditi entro il 2011 e di Prada che afferma di ricorrere a tecniche alternative per ottenere l’effetto “sbiadito”. Versace sostiene invece di avere tutta la sua filiera in Italia così come Gucci, disponibile però a verificare fino in fondo la situazione insieme a rappresentanti della Clean Clothes Campaing negli stabilimenti marchigiani della “Valle dei jeans”, dove vengono sbiancati i capi del marchio fiorentino. “Da gennaio 2011 inizieremo un’azione di pressione diretta con il coinvolgimento dei consumatori nei confronti delle aziende che non risponderanno o che, come Dolce&Gabbana, ci hanno già detto di non essere interessate alla nostra campagna”, conclude Deborah Lucchetti. Fra i grandi marchi internazionali, hanno invece già aderito Levi’S e la catena H&M.

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