Mah, onestamente non capisco come ragionano le organizzazioni no profit. La levata di scudi per il taglio effettuato al 5×1000, che sembra mettere in ginocchio il mondo del terzo settore, a mio parere rappresenta l’ultimo dei problemi per il 95% delle organizzazioni. Rappresenta un vero problema per una esigua minoranza che è rappresentata dal top delle organizzazioni nazionali che operano in diversi settori ( ricerca, ambiente, cooperazione internazionale, assistenza) e che, effettivamente, per notorietà e dimensione,  intercettano milioni di euro da tale provvedimento.

Ma il restante 90-95% delle organizzazioni dal 5×1000 ottengono poco o quasi niente. Valga ad esempio la Caritas Ambrosiana, una delle più grandi di Italia, che da questo capitolo ha preso circa 150.000 euro all’anno. Poco rispetto alle dimensioni del loro operato e delle loro spese. Intendiamoci, questa ulteriore decurtazione non fa piacere e rappresenta un ulteriore segnale di un governo che nei confronti della fragilità umana pare non avere alcun tipo di misericordia. Ma dove erano le organizzazioni nazionali e non, quando lo stesso governo tagliava e ritagliava i fondi strutturali rivolti ad assistenza, cura e accoglienza di coloro che per una ragione o l’altra si trovano catapultati ai margini della opulenta società civile?

Esiste un documento che attesta come, dal 2008 al 2013, l’insieme delle risorse destinate al “sociale” uscirà decurtato di un buon 80% (pari a circa due miliardi di euro) e sarebbe sufficiente chiedere ad un qualsiasi assessore alle politiche sociali di una regione cosa significhi tutto questo. In assenza di certezze sul federalismo i tempi che ci aspettano vanno ben oltre il tema del 5×1000.

La miopia del terzo settore, a mio parere, è grave quanto l’indifferenza del governo. Protesi verso il salvifico e retorico compito di offrire la voce agli “ultimi”, siamo riusciti a fare diventare ultimi anche i nostri associati e operatori. Sopportando nel silenzio tutto e accontentandosi delle elemosine del 5×1000.

Toccando quest’ultima elemosina, ecco il diluvio. Si è taciuto rispetto ai vergognosi ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche che inducevano le organizzazioni a pagare interessi alle banche sempre più elevati o a chiudere baracca e burattini. Si è taciuto di fronte allo svuotamento progressivo della legge sul fondo sociale che in mano alle regioni e ai comuni è diventata strumento di nuove clientele. Si è taciuto rispetto a gestioni di moltissimi progetti che non avevano ne capo ne coda. Tutto in nome della retorica del volontario, della difesa, che in molti casi diventa offesa, degli “ ultimi” e tutto questo in assenza di dignità e rivendicazione di sorta.

Il terzo settore rappresenta l’unico segmento della società che non è mai sceso in piazza a Roma per rivendicare, se non i propri diritti, almeno il diritto ad essere considerato anche una forma di impresa che produce, oltre alla ricchezza sociale e maggior benessere,  anche ricchezza in termini di reddito per chi ci lavora. Incapace di trovare una rappresentanza forte a causa di protagonismi, egoismi, presunte identità associative e furbizie non seconde al mondo profit, adesso rantola come solo i moribondi fanno. Mai desideroso di avviare una seria riflessione sulle differenze sostanziali che emergono tra volontariato, impresa sociale, sistema coperativistico e associazionismo e rivendicare queste differenze per costruire un segmento sociale, professionale se è necessaria la professionalità e gratuito dove si può operare in termini di gratuità, il terzo settore ha preferito, per troppo tempo, il silenzio.

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