Quando sento parlare di Pentothal mi viene in mente lo straordinario personaggio dei fumetti inventato da Andrea Pazienza, il cui nome, in quel caso, rimandava al siero della verità adoperato da Diabolik per carpire segreti alle sue vittime. Quello di cui si sente parlare oggi invece è un altro Pentothal, un (obsoleto) barbiturico ad azione ipnotica un tempo utilizzato per le anestesie generali e che, negli Stati Uniti, serve per praticare l’iniezione letale alle persone condannate a morte dal sistema giudiziario del “Paese più democratico al mondo”.

A proposito di Pentothal, ieri abbiamo appreso che, stando a un dossier presentato dall’Ong britannica Reprieve e da Nessuno Tocchi Caino, dopo che il governo inglese ha deciso di bloccare l’esportazione del farmaco, l’Italia è rimasta per i penitenziari statunitensi l’unica fonte di approvvigionamento da cui reperire il sodio tiopentale utilizzato nelle esecuzioni capitali. In particolare, si legge nel rapporto di Reprieve, c’è uno stabilimento di Liscate, in provincia di Milano, a cui la società farmaceutica Hospira – l’unica azienda in possesso dell’autorizzazione ufficiale della Food and Drug Administration per fabbricare e commercializzare sul territorio americano il sodio tiopentale – ha dato l’incarico di produrre il siero destinato a spedire all’altro mondo un congruo numero di persone che soggiornano in casacca arancione nei vari bracci della morte americani.

Va ricordato che l’Italia è impegnata presso l’Onu per la moratoria universale delle esecuzioni capitali, e la lotta contro la pena di morte – nonostante le esternazioni di qualche esponente della Lega secondo cui certi casi di sciacallaggio andrebbero risolti con la fucilazione – è uno dei temi prioritari nel campo dei diritti umani per il nostro paese. Sarebbe singolare dunque che proprio la patria di Cesare Beccaria si rendesse indirettamente complice di questa barbarie.

Un autore americano che amo molto, Jack London, un secolo fa scrisse: “«L’uso peggiore che si possa fare di un uomo è quello di impiccarlo». No, non ho alcun rispetto per la pena di morte. Si tratta di un’azione sporca, che non degrada solo i cani da forca pagati per compierla ma anche la comunità sociale che la tollera, la sostiene col voto e paga tasse specifiche per farla mettere in atto. La pena di morte è un atto stupido, idiota, orribilmente privo di scientificità.

Rileggere i classici a volte serve anche a questo, a decifrare le scelte di natura commerciale di certe aziende che conquistano la ribalta della cronaca nel medioevo dei giorni nostri.

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