Dalle parti di Roma, nell’entourage di Silvio Berlusconi, il sistema giudiziario francese, fondato sull’assoggettamento dei Pm al potere esecutivo, piace, piace tantissimo. Un “modello”, si dice, perché, si sa, la Francia viene spesso elogiata al confronto con l’italietta. A torto, talvolta. La Corte europea dei diritti umani ha appena condannato Parigi puntando il dito proprio sulla mancata indipendenza dei magistrati delle procure, nominati dal ministero della Giustizia. E alle sue strette dipendenze.

La sentenza ne conferma altre dello stesso tipo, già emesse dall’organismo europeo, che hanno nel passato condannato quella che l’editoriale di Le Monde di oggi definisce “l’eccezione francese”. In sostanza, a differenza dei giudici, i magistrati delle procure sono un’emanazione diretta del potere esecutivo. E’ vero, esistono i giudici istruttori, autonomi, ma a questi ormai viene affidata una quota sempre più bassa delle cause (sotto il 3% del totale). Inoltre, l’uso-abuso della custodia cautelare in Francia (790mila nel 2009, di cui 170mila per le infrazioni al codice della strada), accresce il potere dei Pm. La sentenza della Corte europea, in effetti, scaturisce dal ricorso di un’avvocatessa, France Moulin, sottoposta a custodia cautelare per violazione del segreto istruttorio in un’inchiesta di riciclaggio di denaro sporco. E che allo scadere dei due giorni di carcere preventivo era stata trasferita in prigione dal Pm. Solo cinque giorni dopo l’inizio della custodia cautelare aveva potuto incontrare il giudice istruttore.

“La sentenza – sottolinea Mireille Delmas-Marty, nota esperta del settore, docente al Collège de France – conferma che la questione del ruolo della procura deve essere al centro della riforma della procedura penale. La progressiva marginalizzazione dei giudici mina le basi dello Stato di diritto”. D’altra parte l’assurdità del sistema era emersa nei mesi scorsi in tutto il suo splendore quando l’inchiesta sull’affaire Bettencourt, dal cognome dell’anziana proprietaria di L’Oréal, Liliane, al centro di un supposto giro di tangenti, che arriverebbe fino a Nicolas Sarkozy, era stata affidata (la revoca è arrivata solo pochi giorni fa) non a un autonomo giudice istruttore, ma al procuratore di Nanterre, Philippe Courroye, notorio amico del presidente.

E ora qualcosa cambierà? Non è sicuro. La sentenza è piombata su Parigi martedì. E il ministero della Giustizia francese ha deciso già di fare appello. E dire che Sarkozy, nel 2007, durante la campagna presidenziale, aveva messo la riforma della giustizia, da rendere “più umana ed efficace”, in testa alle sue priorità. Da allora, nel concreto, solo i tagli sono stati realizzati, con la modifica della “carte judiciaire” e i conseguenti accorpamenti dei tribunali sul territorio. Gli effetti previsti (fra gli altri, migliorare la qualità dell’infrastruttura) non si sono ancora visti, se si dà un’occhiata al Libro bianco sulla giustizia, presentato nei giorni scorsi dall’Usm, il principale sindacato dei magistrati. Nelle loro ispezioni hanno trovato secchi per terra al tribunale di Grenoble, per raccogliere l’acqua che scende dal soffitto in caso di pioggia. O le feci dei piccioni che piombano dall’alto in aula a Reims: non ci sono i soldi per riparare le vetrate del soffitto.

Sarkozy, inoltre, doveva riformare la procedura penale. Ma il progetto si è perso per strada. E, in ogni caso, andava in controtendenza rispetto all’ultima sentenza della Corte europea, prevedendo l’eliminazione del giudice istruttore, scampolo di autonomia all’interno delle procure. Ora, invece, a metà dicembre arriva in Parlamento il progetto di legge sulla custodia cautelare, frutto del richiamo della Corte costituzionale, lo scorso 30 luglio, che aveva imposto al Governo di riformare la procedura entro l’estate 2011. Il testo prevede qualche passo in avanti, vedi un ruolo maggiore per l’avvocato difensore (attualmente, durante la custodia, puo’ vedere l’assistito massimo trenta minuti e non puo’ assistere agli interrogatori, né avere accesso al dossier). Si prevede pure di limitare, salvo casi eccezionali, il ricorso allo strumento ai reati per i quali sia prevista una pena carceraria. Tutto questo, però, potrebbe rivelarsi insufficiente agli occhi dell’ultima sentenza europea. Perché lo strapotere delle procure rimarrà intatto. Perno del sistema francese. Un modello? Mica tanto.

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