Mercoledì sera, Niki Vendola è stato a New York, alla Casa Zarilli Marimò per parlare di Sud… e dintorni. Avevo intervistato molto tempo fa Vendola, quando conducevo una trasmissione in Rai e devo dire che provo una certa simpatia per lui, politicamente parlando. Il suo intervento è stato interessante e soprattutto, come una boccata d’aria, infarcito di riferimenti culturali e storici. In un panorama politico ridotto a cabaret di quart’ordine, con un linguaggio di pari livello (con tutto il rispetto per il cabaret) mi è sembrato importante ascoltare un politico che non avesse remore a mostrarsi “accademico” se necessario e anche, parola temutissima in Italia, idealista, nel senso “con idee”. Alla fine del suo intervente, il presidente della Puglia, che aveva precisato che una “rivoluzione politica” deve assolutamente puntare ad un cambio culturale che cancelli orrori come il machismo, il razzismo, l’assenza assoluta di rispetto per le donne, l’oblio (se non addirittura) il fastidio per i più deboli ecc ecc, ha accettato di rispondere a delle domande. Gli ho chiesto allora, sostenendo che con la “sua” lista (pare che le liste vadano di moda in Italia) si era guadagnato metà del mio voto, di aggiungere, per rispetto a tutti quei giovani e meno giovani che vanno via, all’estero, spesso affrontando sacrifici inenarrabili, la parola “meritocrazia” a quei valori che l’Italia dovrebbe finalmente aggiungere al suo vocabolario.

La risposta di Vendola mi è piaciuta a metà. Giustamente, il presidente ha posto l’accento sulla necessità che la meritocrazia coincida con la cancellazione delle barriere sociali, per cui a tutti possa essere dato accesso alla cultura e alle stesse opportunità. Un punto che però per me è talmente implicito che non andrebbe nemmeno più ribadito. Ma poi mi sono ricordata della Gelmini e dei suoi (fra gli altri scempi) aiuti alla scuola privata e ho pensato che, sì, era il caso di ribadirlo. Non mi ha convinto però sull’attenzione reale che intende dare all’assenza di meritocrazia che umilia da decenni generazioni di giovani e, aggiungo, meno giovani. Certo, come lui ha ribadito, i primi concorsi pubblici in Puglia sono stati messi in cantiere dalla sua giunta ma questo, si sa, non è garanzia che poi il posto di lavoro vada a chi lo merita davvero. E non credo che il presidente non sappia di un sistema di “raccomandazioni e segnalazioni” che rende quasi sempre inutile ogni tentativo da parte di chi non ha le “amicizie” giuste (non che ovviamente lo “controlli” lui questo sistema).

Allora ho fatto un esempio al presidente, raccontandogli della mia amica che per un lavoro di baby sitter, pagato ad ore, qui a New York, ha dovuto: fare un colloquio, portare tre referenze personali-lavorative e accettare un’indagine del suo background per dimostrare di non aver avuto, sostanzialmente, problemi con la legge. La mia amica, per la cronaca, ha ottenuto il lavoro dopo due colloqui e tre giorni di prova (regolarmente retribuiti).

Ecco, qui a New York, questo significa “meritocrazia”. Sapere che se hai le qualità per un lavoro, le tue possibilità di ottenerlo sono altissime. A tutti i livelli e per ogni tipo di posizione.

Ora lo so, scatterà subito il coro di chi dice “ma sono sicura che anche lì ci sono le raccomandazioni”. Certo. Su dieci, due saranno raccomandati. In Italia, su 10, 9.

Caro presidente, aggiunga con convinzione questo termine alla sua agenda e non con la valenza con cui lo usa il ministro Brunetta. Sappia che dietro quella parola, si nasconde la vergogna di un paese che umilia quotidianamente i suoi stessi figli.

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