Sul volo Air China che in nove ore copre la distanza tra Pechino e Roma stavo seduto accanto a un cinese, niente di più probabile. Come niente di più probabile era stato interrogarsi sulla questione del dissenso prima durante e dopo la settimana di incontri con studenti delle università e scrittori cinesi organizzati dall’Istituto Italiano di cultura.

In Cina c’è un regime e i regimi non gradiscono il dissenso, lo eliminano o si sforzano di farlo in vario modo, altrimenti non parleremmo di regimi. Ma improvvisamente mi sono sorpreso a pensare: forse in Cina esiste un tipo di uomo che non ha necessità di credersi libero? Può esistere un uomo che avverte questo desiderio in una maniera così blanda da farne un dettaglio tutto sommato trascurabile?

Leggevo una recensione a Freedom di Franzen (Rong Xiaoquing sul Global Times del 15 ottobre). Prendendo in esame la sfilza di personaggi estremamente liberi ma vicini al suicidio che popolano questo romanzo concludeva: “Dopo tutto molte persone non hanno ancora l’opportunità di essere liberi come gli americani. Ma questo agli americani ha toccato un nervo sensibile”. Vedevo in televisione ampiamente documentati gli scioperi parigini e persino la Fiom che sfilava a Roma sabato scorso. Sembravano dire: è una forma di sfogo un po’ inutile, lo potete vedete anche voi no? Leggevo caterve di articoli indignati per la decisione del Nobel: ma non era un premio per le persone che “si sforzano di promuovere l’armonia nazionale, l’amicizia internazionale, il disarmo e gli incontri pacifici”?

Parlavo di trasmissione di memoria e problemi di comunicazione all’interno delle famiglie italiane, ancora oggi a 65 anni dalla fine del fascismo e vedevo gli studenti cinesi allibiti (nelle loro famiglie gli scheletri negli armadi abbondano e nessuno oserebbe chiedere, spiegare, scrivere).

Visitavo il distretto 798 dove centinaia di gallerie con spazi mirabolanti espongono le opere di artisti di tutto il mondo, tra cui molti cinesi ormai famosissimi, con opere come Hope tunnel di Zhang Yuan alla Ucca (Ullens Center for Contemporary Art) che, sotto forma di un treno distrutto nel terremoto del Sichuan, si propone come il memoriale di una nazione consapevole. Ma è anche vero che la libertà di mercato e quella della creazione artistica contemporanea vanno di pari passo, anzi si confondono in una unica cosa.

E la libertà di mercato in Cina non manca.

Platone e Confucio sono più o meno coevi ed entrambi sono autori di Dialoghi. In occidente proviamo a far funzionare la democrazia da circa 2500 anni, in estremo oriente ugualmente da allora coltivano una loro concezione di etica personale, virtù familiari e politiche.

Ora io ero seduto accanto a questo cinese in aereo. Abbiamo consumato due pasti. Io secondo l’educazione ricevuta e lui secondo la sua (quindi suggendo rumorosamente il cibo, sbiascicandolo a bocca aperta e ruttando). Infine, nonostante le ordinanze in vigore dalle olimpiadi, ha ripetutamente sputato nel sacchetto di carta o in altri contenitori improvvisati.

Io sono di indole fin troppo incline al relativismo culturale, cioè tendo a preferire le ragioni altrui alle mie convinzioni. Eppure in più momenti ho avuto l’istinto di voltarmi verso il mio vicino per fargli notare il fastidio che mi provocavano i suoi modi. Nel campo delle libertà considero la più alta, nonché la più pragmatica, quella dai consumi. Eppure quando leggo la vulgata cinese che ripete: ma lo sapete che Liu Xiaobo qui da noi non è molto rappresentativo e si fa una gran pubblicità con le sue proteste? Ho un analogo scatto di fastidio. Va bene tutto, la non ingerenza e il relativismo, ma dire quello che uno pensa non può essere un crimine. E un numero incalcolabile di esecuzioni capitali (5000 all’anno? 10.000? Non ce lo dite) un prezzo un po’ alto per qualsiasi pace sociale.

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