Ospitiamo oggi il contributo di Fabrizio Galassi, giornalista musicale (Rockstar, Repubblica.it, Wired attualmente in forza a TheBlogTV) dedicato a una questione davvero molto delicata che è quella dei diritti connessi discografici poco conosciuti e spesso oggetto di fraintendimento o confusione con il diritto d’autore. Vi è infatti una differenza fondamentale tra la composizione musicale, più comunemente chiamata “canzone” e la registrazione, cioè l’incisione su supporto della composizione musicale, due beni diversi tutelati dalla legge sul diritto d’autore con due diritti diversi. Contributo che può aiutare a capire meglio cosa si nasconda dietro le svariate sigle e quali siano le loro funzioni.

Innanzitutto va chiarito che il diritto d’autore tutela l’opera musicale e il relativo compenso viene corrisposto all’autore della composizione (musica e/o testo) e all’editore del brano. I diritti connessi al diritto d’autore riguardano invece le registrazioni e i relativi compensi vengono corrisposti al produttore fonografico della registrazione e all’artista che ha prestato la propria interpretazione all’incisione. Inoltre, prima di intraprendere il viaggio nella politica musicale e nelle sue sigle occore fare una piccola legenda sui principali attori:

SIAE: vale la pena ricordare che si occupa di tutelare il diritto d’autore oltre a riscuotere i proventi e ripartirli tra gli aventi diritto.

SCF – Società Consortile Fonografici: secondo una direttiva dell’Unione europea sono dovuti anche i diritti per la diffusione in pubblico di musica registrata, ossia i Diritti Connessi, la SCF si occupa di raccogliere tali diritti e di ripartirli tra i suoi associati composti da oltre 300 etichette tra major e indipendenti (che rappresentano il 95% del mercato – fonte SCF). Il 50% di questi diritti viene trattenuto dalla discografica, il resto è dirottato all’IMAIE che li ripartisce tra gli aventi diritto.

IMAIE: tutela e gestisce i diritti degli artisti interpreti esecutori di opere musicali, cinematografiche e audiovisive ogni qualvolta queste siano riutilizzate e/o trasmesse dalle radio, dalle televisioni e da qualsiasi altro ente utilizzatore e a distribuire i compensi agli artisti interpreti esecutori aventi diritto dopo averli individuati in seguito alla riutilizzazione delle opere da loro interpretate. Attualmente è in fase di ristrutturazione aziendale.

AFI – Associazione Fonografici Italiani: raccoglie nel suo consorzio le piccole e medie etichette, ha la stessa funzione della SCF per i suoi associati, circa 200.

Dal 2005 SCF si occupa di riscuotere i diritti connessi anche per conto degli associati AFI, questo fino allo scorso 23 ottobre quando AFI ‘rompe’ l’alleanza e firma direttamente con la SIAE consegnandole il mandato per la raccolta di tali diritti.
Perché questa mossa? Non era meglio rimanere uniti per avere più forza nella raccolta e per far risorgere l’IMAIE, impantanata nella sua liquidazione e riprendere il discorso della ripartizione dei diritti fino ad oggi riscossi? Ma soprattutto, perché AFI, che rappresenta circa il 5% del mercato, ha voluto abbandonare la nave principale e navigare da sola?
Se partiamo con la fanta-politica possiamo arrivare ben lontano e azzardare l’ipotesi di un freno da parte di SIAE al monopolio di SCF nella riscossione di questi diritti e la paura che da semplice collecting dei connessi potesse passare al piatto più ricco del diritto d’autore e quindi ‘sfidare’ il vero monopolio della Società di via della Letteratura, altro organo che avrebbe bisogno di una cura dimagrante nel consumo interno delle risorse economiche che intasca.
Oppure potremmo parlare di un complotto ai danni dell’arte ‘leggera’, già pesantemente inginocchiata dai tagli al FUS.

Per adesso evitiamo voli pindarici e basiamoci sui fatti.

I diritti connessi (da non confondere con i diritti d’autore) non interessano solo le etichette, il 50% arriva nelle tasche degli ignari musicisti e compositori, molti dei quali non conoscono neanche l’esistenza dell’IMAIE. Si sta parlando di una notevole quantità di denaro che arriva da ovunque ci sia uno stereo in pubblico che trasmetta musica registrata. Per fare un esempio: il 22 giugno del 2005 SCF e CEI (Conferenza Episcopale Italiana) si accordano per mettere in regola tutti gli enti ecclesiastici d’Italia, così ogni parroco potrà serenamente far ascoltare la musica che preferisce senza far peccato al costo di 95 euro per un anno o di 142.50 Euro per tre anni. Mettiamo che tutte le parrocchie aderiscono a questa convenzione scegliendo lo sconto del 50% nella soluzione triennale, si sta parlando di oltre (di quanto oltre non lo sappiamo) 25.000 bollettini che arrivano a SCF per un totale di 3.562.500 Euro. C’è di che essere felici ad esser ascoltati dai credenti.
A questo punto scatta la ripartizione tra gli associati che avviene secondo i canoni utilizzati anche dalla SIAE: 1. tramite i rendiconti, 2. a seconda della quota di mercato dell’etichetta e 3. un metodo misto che tiene conto di entrambi i dati.
Poi si arriva ad aprile 2010, il 21, per l’esattezza, quando arriva un comunicato da parte di SCF che annunciano un accordi di collaborazione per la riscossione dei diritti connessi: “SIAE e SCF annunciano la firma di un accordo di collaborazione per la gestione delle attività di raccolta dei diritti connessi discografici, limitatamente all’area delle utilizzazioni di pubblica diffusione di musica registrata”.
Quindi:
Dal 1° gennaio 2010 in discoteche, discopub e locali serali i diritti connessi si pagano a SIAE. SIAE provvederà a rendicontare a SCF i compensi riferiti al repertorio da lei rappresentato
Al contrario nei pubblici esercizi, negli alberghi ed esercizi commerciali i diritti connessi sono raccolti da SCF. SCF provvederà a rendicontare a SIAE la quota di sua rappresentanza (cioè il repertorio AFI).
Questo è un buon tentativo per creare un attore unico di riscossione, ossia le discoteche pagano a SIAE, i bar (ma anche i dentisti!!! http://www.scfitalia.it/showPage.php?template=news&id=68) a SCF. Ma rimangono comunque i perché dietro a questa necessaria (?) divisione e non lasciare, per esempio, alla sola SCF di riscuotere tali diritti.
Siamo sul web e quindi il discorso è aperto a commenti e precisazioni, anche se l’argomento è talmente poco conosciuto, purtroppo.
A proposito di Internet: i diritti connessi valgono anche sulla Rete, che si tratti di simulcasting (ri-trasmissione di programmi), webcasting (radio, tv o musica on demand), download, ma anche di mobile casting, per chi ascolta musica attraverso il telefonino.
Il bottino è notevole (secondo il Rapporto 2009 sull’economia della musica si tratta di 56,6 milioni di Euro) e AFI ha scelto SIAE per la sua rete capillare nella raccolta sperando così di aumentare gli introiti per i propri associati. Ma al tempo stesso ha rotto la cordata facendo così ritardare anche il tavolo per le trattative del contratto nazionale collettivo dei musicisti.

Che l’unione faccia la forza è ovvio, soprattutto in questo caso: a questo punto tutti gli attori di questo gioco dovrebbero fare un passo indietro e chiedersi se vale veramente la pena spezzare ulteriormente una voce già fioca, soprattutto adesso che il presidente della SIAE ha aperto una breccia sul muro Creative Commons e si stava creando un fronte compatto (ad opera di WIN, l’associazione mondiale dei discografici indipendenti) nel chiedere alle multinazionali di Internet e telefonia di devolvere ai proprietari dei diritti primari e connessi il 4% dei loro introiti derivanti dalla vendita dell’hardware, software e abbonamenti.

Non si tratta quindi soltanto di soldi, ma di rafforzare tutto il mercato discografico, unire gli intenti, dare speranza alle piccole e medie etichette, e allo stesso tempo dare fiducia ai musicisti permettendogli di continuare un lavoro ad oggi vissuto come hobby e trattato come un vezzo giovanile e naïf.
Anche in questo caso gruppi e artisti si meritano un bel 3 meno meno nel dimostrare un’ignoranza quasi totale in questo campo e per non aver ancora trovato la giusta formula per costituire un sindacato senza bandiere e appartenenze politiche, l’unica possibilità per essere ammessi al tavolo della trattativa è questo, senza l’unione si rischia di far piano bar a vita.

Articolo Precedente

L’Africa? Ormai è l’orto degli speculatori

next
Articolo Successivo

Una terrona

next